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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-6-3il Giornale

2005-6-3

3/6/2005

Un’Europa che funzioni

Dal 1995 al 1998 ho scritto qui gli argomenti che mostravano come il costruire un’architettura europea a partire dal tetto avrebbe comportato un effetto impoverente indiretto della moneta unica ed il rischio di gravi dissensi nelle nazioni. Ora è evidente. Dal 1999 ad oggi ho segnalato che ci volevano urgentissime iniezioni di cemento realistico nell’edificio europeo per non farlo crollare. Ora è evidente. Non voglio alcuna soddisfazione contro chi mi ha chiamato euroscettico, ma chiedo loro, e a tutti voi, di essere aperti ad un modo razionale di pensare l’Europa. Il metodo usato per costruirla dal Trattato di Maastricht in poi non funziona. Inutile negarlo o gioirne perché ambedue gli atteggiamenti porterebbero al disastro per tutti. Va, invece, trovato un metodo di costruzione europea che possa funzionare. 

Uno era in vigore fino al 1989. Si chiamava “metodo funzionalista” e prescriveva di unire quelle cose che andavano bene a tutte le nazioni, posponendo quelle più difficili, ma con l’obiettivo condiviso di perseguire una crescente integrazione. In tale metodo venivano combinati sia la pressione unificante sia il pragmatismo. Richiamiamo in servizio chi lo disegnò? In realtà non lo inventò alcuno, ma fu creato dai fatti. Anzi, semplificando, da risposte realistiche alla domanda “Europa per che cosa?”. Negli anni ’50 fu: per non farci più la guerra e per restare uniti contro la minaccia sovietica. E iniziò una integrazione utile per tale scopo. Negli anni ’80 fu: oltre che per fare fronte comune anche per diventare più ricchi facendo un mercato unico. E l’Atto unico firmato a Milano nel 1985 fu uno splendido esempio di un’Europa che funzionava integrando ciò che era chiaramente utile e rimandando ciò che non lo era ancora per tutti, ma mettendolo nell’agenda futura. Come mai, dal 1990 in poi, fu abbandonato un metodo che faceva funzionare l’Europa? Perché la Francia ebbe paura che la Germania riunificata potesse diventare la potenza singola del continente e concepì un piano per ingabbiarla: imporle di sostituire il marco con l’euro e di accettare le conseguenti regole di sovranità limitata. Tale obiettivo strategico di Parigi trasformò il negoziato per il Trattato di Maastricht (1990 – 1993) da rifinitura dell’Atto unico nella costruzione “a strappo” di una architettura finalizzata ad europeizzare la Germania. Kohl restò per un po’ indeciso, ma nel settembre del 1996 accettò tale soluzione perché temeva che dopo di lui sarebbe risorto il nazionalismo germanico e che, pertanto, si sarebbe riaperta la “questione tedesca”. In sintesi, l’euro e l’idea di una Unione europea (con)federale non nacquero in quella occasione, ma furono imposti anticipatamente, senza valutarne fattibilità e conseguenze, per l’urgenza francese di legare Berlino. E di mantenere viva la diarchia franco-tedesca sull’Europa. Il punto: il metodo funzionalista che costruiva la casa a partire dal muro fu sostituito da uno che pretende di farlo cominciando dal tetto. Questo è il motivo per cui si è fatto un euro senza governo europeo dell’economia, prima di ottenere dalle nazioni adeguate riforme interne e con regole che, di fatto, le ostacolavano. Una mostruosità che ha generato impoverimenti reali degli europei. Seconda solo al caos istituzionale prodotto dal voler forzare l’unione – costituzionalizzata – di nazioni non pronte ad esserlo. Ora i non e nee alla Costituzione europea hanno svelato l’infattibilità del metodo “a strappo”. Sarà possibile tornare a quello funzionalista? Sarà necessario, ma adesso abbiamo l’euro – catastrofica la sua eventuale dissoluzione - che costringe gli europei ad un coordinamento stretto. Significa che dovremo unire più cose di quelle che sono possibili. Quindi il nuovo metodo dovrà essere funzionalista, ma anche capace di forzare almeno quegli elementi di integrazione economica necessari al regime della moneta unica. Si può fare, mi permetterò di dare esempi concreti, ma prima è necessario un chiarimento che invoco con questo articolo: quanti di noi sono disposti a pensare realisticamente e non in modo eurolirico? Con meno euroballe un’Europa che funzioni la troveremo.

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