Nell’ultimo trimestre del 2004 e nel primo del 2005 siamo stati in recessione. Così definita sul piano tecnico proprio dalla registrazione statistica di due trimestri consecutivi di crescita negativa del Pil. Le stime, oggi, sulla possibile crescita nel 2005 e 2006 confermano la maggiore probabilità di una stagnazione. Sarebbe inutile addolcire la pillola: senza azioni veramente forti ed incisive siamo condannati all’impoverimento.
Il governo ne ha preso atto con realismo. Resta da capire se la recessione sia da attribuire più all’effetto traino in negativo del cattivo andamento dell’economia tedesca, in recessione qualche mese prima di noi ed ora in piccolo rimbalzo, oppure a cedimenti specifici della struttura italiana. I dati possono prestarsi alle due letture, ma è innegabile che vi siano i primi sintomi di un preoccupante cedimento dell’Italia, specifico. Non vi è infatti solo la caduta di settori massacrati dalla concorrenza dei paesi emergenti – Cina, India, Messico, ecc. – ma un calo generalizzato di tutto il sistema produttivo. Ciò vuol dire che se anche il ciclo economico globale ed europeo andasse meglio l’Italia non avrebbe la forza per trovarne giovamento. Di fronte a questa realtà non serve sperare in un miglioramento competitivo del rapporto di cambio tra euro e dollaro che ora penalizza le esportazioni, pur capace di portarci un punto di Pil in più. Bisogna proprio aggredire il cancro che erode i pilastri della creazione della ricchezza. E per il caso italiano c’è una sola misura salvifica veramente efficace: trasferire più capitale possibile alle imprese affinché possano investire in quello che serve per renderle competitive, cioè ridurre le tasse. Una formula di competitività non la sceglie la politica o lo Stato, ma la decide ogni singola impresa in base alla propria realtà di mercato. Quindi la cosa più seria che può fare la politica è lasciare più capitale produttivo in mano agli imprenditori. Non c’è nessuna novità in quello che scrivo, figuriamoci, ma va qui ribadito per affermare due principi chiave: (a) priorità sulla detassazione delle imprese; (b) solo una riduzione forte è utile, se poca non accenderebbe il volano tecnico degli investimenti e quello della fiducia che li spinge. Tali principi sono stati finora violati, pur per ragioni comprensibili. Si è data priorità alla detassazione sulle famiglie posponendo quella per le imprese. La quantità di tasse ridotte è stata comunque insufficiente. Sembra che il governo abbia capito anche questo punto, dando ragione a quanto da sempre cerca di fare Berlusconi. Misteriosa è la scelta di aver dato priorità alle famiglie e non alle imprese creatrici di ricchezza per le famiglie stesse, ma è il passato. Il futuro deve rispettare i principi detti e, se così, potremo certamente evitare la stagnazione e sperare nella guarigione della struttura economica malata. La decisione di togliere in un solo colpo da 12 miliardi di euro l’Irap va in questa direzione e segnala che il governo, questa volta, fa sul serio. Bene.
Resta un punto tecnico per confermare l’ottimismo al riguardo della ripresa. Evidentemente dovremo andare in deficit per fare detassazione forti. Un problema, come noto, sono i parametri europei. Ma quello maggiore è il timore che le agenzie di valutazione del debito, temendo che il nostro già montagna diventi Everest, lo declassino e ciò comporti un aumento del costo degli interessi superiore, un disastro, al vantaggio. La soluzione ci sarebbe, in teoria: vendere una quota di patrimonio pubblico – azioni, terreni, concessioni, ecc. - sufficiente a far scendere il debito nonostante l’aumento temporaneo del deficit annuo per scopi di detassazione forte. In conclusione: da un lato c’è una recessione che indica un male strutturale, ma dall’altro ci sono ancora tanto patrimonio, risparmio e capitale sociale, cioè la bravura degli imprenditori. La formula ottimistica è mettere tale ricchezza residua al servizio del futuro e non di finanziamento del passato o di lasciarla congelata. Dal governo ci aspettiamo mosse forti, questa o simili, e la coesione necessaria per compierle.