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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2003-3-4il Giornale

2003-3-4

4/3/2003

Basta con il fogliafichismo

Mal di pancia. Qualcuno di voi sente disagio per le prospettive di guerra. Ma io ne provo uno maggiore nel vedere quanto sia difficile costruire il consenso per abbattere un dittatore provatamente pericoloso per la stabilità internazionale oltre che repressivo nei confronti della sua gente. Mi sale alla gola il vomito nel vedere l’America ostacolata e ricattata e uno Chirac ambiguo erto a campione della pace, osannato da un milione di algerini per il suo antiamericanismo. Soffro fisicamente nel notare come Saddam Hussein riesca a prenderci in giro. Mi vengono i crampi nel vedere che tanti invocano l’Onu come foglia di fico legittimante senza valutarne l’efficacia come luogo ove si pongono le regole internazionali per la sicurezza globale. Mi chiedo quanti di voi abbiano le viscere sconquassate per gli stessi motivi. La sensazione è che siate in tanti. Ma che non vi esprimiate a causa di un conformismo fogliafichista che di fronte a qualsiasi problema recita pace e Onu come un mantra senza il coraggio di valutare quale pace e a quali condizioni e quale Onu e cosa dovrebbe fare. Se fosse così, allora ritengo utile dare l’esempio di una posizione netta: di Saddam non possiamo fidarci, il disarmo corrisponde alla sua rimozione dal potere, se non se ne va con le buone lo manderemo via con le cattive, nessun dubbio nel fare la guerra quando è necessaria. Se ci saranno problemi di conseguenze li affronteremo, ma mai ci faremo intimidire da tale complessità. Come cittadino di un Paese che non ha le risorse per dare un aiuto militare diretto alla bonifica dell’Irak sento ancor più intensamente il dovere civile di invocare almeno un forte supporto politico all’azione. Adesso mi sento meglio. Chi prova le stesse cose cominci a dirlo, a testimoniarlo apertamente, a contrastare sia la vigliaccheria del pensiero debole sia le truppe dell’antiamericanismo travestito da pacifismo. Mi sentirei ancora meglio se non fossimo in una situazione di spettatori, ma di protagonisti: noi ad invocare la rimozione di regimi pericolosi e non solo a fare da tifosi per chi lo propone o chi lo ostacola. Ma facciamo almeno quello che possiamo. Corro il rischio di essere chiamato guerrafondaio? Pazienza, sarebbe peggio sentirsi un vigliacco.

Mal di testa. Le budella mi si sono rivoltate perché la mente razionale, se me ne riconoscete una, ha registrato un grave pericolo. L’aver paura più della guerra che di una dittatore mostra un Occidente prigioniero dell’illusione di mantenere la propria ricchezza non facendo più che facendo. Le civiltà cominciano a morire così. Vedere una Onu che blocca le azioni di ordinamento invece di favorirle mi fa temere la fine nel ridicolo della più preziosa istituzione globale che abbiamo. L’osservare che il gioco strumentale di Francia, Russia - meno la Germania nella realtà a porte chiuse - e Cina riesce a mettere in seria difficoltà l’America mi fa temere che la leadership mondiale passi a potenze di minor profilo morale oppure si apra un periodo di disordine tra blocchi contrapposti. In particolare, gli Usa si sono messi in difficoltà per eccesso di trasparenza. Nel loro sistema interno non sono ammesse mosse segrete, quali, per esempio, buttar giù un regime di nascosto (come fecero in Cile nel 1973 e appresero la lezione). E il tentativo di onestamente esplicitare i motivi ed una teoria per dare sicurezza al mondo li hanno messi nella trappola di una Onu non riformata dove le altre potenze hanno colto l’opportunità di regole non adeguate ai nuovi requisiti di sicurezza globale o per ricattare o per limitare l’influenza statunitense. Per cui ora l’America si trova, a causa della sua moralità e saggezza nel voler rispettare l’Onu (emersa, tra l’altro, dopo duri contrasti all’interno dell’Amministrazione Bush nell’estate del 2002), costretta a cedere ai ricatti per ricevere la legittimità oppure a farsi dichiarare illeggittima se conduce l’azione che ritiene giusta con buone e credibili motivazioni. Tale situazione mi sembra un evidente sintomo di cortocircuito con rischio di fusione dell’intero impianto dell’ordine mondiale. C’è una soluzione? Certo, far evolvere la carta dell’Onu, cioè la responsabilità delle nazioni, affinché diventino più stringenti i requisiti esterni ed interni di cittadinanza nella comunità internazionale: non aggressività, divieto di proliferazione nucleare e biochimica, standard di convergenza tra nazioni, di ordine economico interno e, il più importante, di democrazia o per lo meno di tendenza verso di questa. Ciò non darebbe spazio preventivamente a dittatori e politiche di potenza ed eviterebbe agli Usa di dover formulare una dottrina di guerra preventiva che è sintomo di impotenza degli altri più che di volontà di potenza propria. L’unilateralismo americano è una risposta disperata ad un mondo che non persegue la stabilità, ma sempre di più ricade nei vecchi nazionalismi o cinismi di imbecillità morale: la fatica di Atlante che già vi descrissi. E’ proprio questa analisi realistica che muove le viscere e impone scelte nette ed immediate: o di qua o di là. Per me Occidente, chi lo sente si mobiliti perché è ora.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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