Ho voluto fare un controllo negli archivi prima di reagire all’editoriale di Eugenio Scalfari pubblicato su Repubblica domenica scorsa. Cosa sono andato a rivedere? La storia della crescita del debito pubblico italiano, quella degli incrementi fiscali, in generale le scelte economiche fatte dai governi negli ultimi tre decenni. Cioè nel periodo in cui Scalfari è stato un influentissimo commentatore. Sempre severo con gli sprechi e disordini, ma mai al punto da togliere il sostegno all’establishment di centrosinistra che li creava. Scelte disastrose: sono correlate alla progressiva perdita di competitività e modernità della nostra economia nazionale. Perché ho riesumato tali archivi? Mi ha sempre colpito il fatto che in Italia non abbiamo fatto due processi: (a) ai comunisti e Cgil per la loro occupazione in stile militare e gestione illegittima dei centri di potere (magistratura, università, istituzioni operative, ecc); (b) alla classe politica che ha portato l’economia italiana quasi al fallimento, parte di essa ancora impunita non solo per aver sperperato i soldi, ma anche per averne intascata una parte. C’è anche un interesse personale. Nei primi anni ’80, dopo un periodo di formazione all’estero, cercai sinceramente opportunità di lavoro in Italia. Trovai un comunista che mi fece capire che ero troppo filo-occidentale per aspirare ad una cattedra nell’università italiana nonostante, lo ammise lui stesso, i miei titoli fossero di gran lunga superiori a quelli dei concorrenti di allora. I modelli e metodi che producevo erano applicabili solo ad economie avanzate e non trovai domanda per le consulenze che offrivo ai soggetti italiani impelagati con i problemi di un sistema rigido, di capitalismo primitivo e consociato con interessi politici opachi. Dovetti riprendere l’aereo e trovare sia cattedra sia buoni contratti in America. Ma nel viaggio di migrazione ebbi le lacrime agli occhi perché in quell’Italia che adoravo non c’era posto per me. E perché perdetti un amore privato. Giurai a me stesso di tornare dopo aver ottenuto la solidità di una carriera e di chiedere giustizia: sia processando chi ha ucciso la meritocrazia e la modernità da noi sia combattendo per ripristinarle. Da anni lo sto facendo. E capirete il mio sconcerto nel vedere che i politici colpevoli non solo sono ancora in sedia, ma anche in una posizione di accusatori invece di imputati. E con uno Scalfari loro complice per decenni che accusa la compagine economica dell’attuale governo di incompetenza. Da che pulpito! A questa rabbia si aggiunge quella relativa agli argomenti.
Scalfari accusa la politica economica del governo di dilettantismo perché non è stata prevista la svolta negativa del Pil a mezzo anno. Qui neanche merita risposta. La merita, invece, l’accusa contro Tremonti e colleghi di inconsistenza personale. Ed è la seguente, in un solo punto semplicissimo. Le difficoltà del governo sono legate alla promessa di non alzare le tasse. Mentre nel passato l’establishment di centrosinistra sostenuto da Scalfari ha sempre, dico sempre, risolto i problemi di bilancio e dintorni alzandole, compensando gli sbilanci di breve caricando di pesi il futuro. Ora abbiamo un governo che sta tentando disperatamente di mantenere la giusta direzione in una fase brutta del ciclo economico: non appesantire l’economia del presente per far tornare a volare quella futura. E’ un impresa titanica. Che implica il generare denari attraverso l’intelligenza innovativa e sperimentale perché la cassa è vuota. Svuotata ancor di più dagli amici alzatassisti di Scalfari nei decenni ed anni scorsi. Cosa dovrebbe fare il governo secondo Scalfari? Non lo dice. Ma la sua apologia di Visco implica che Tremonti sia uno scalmanato non credibile solo perché non vuole alzare le tasse. Questo è l’argomento sostanziale di Scalfari. Una fesseria.
Tremonti e colleghi non hanno bisogno di eccessive difese, pur bisognosi di un sostegno psicologico che ne comprenda lo sforzo nei prossimi mesi, perché la realtà darà loro ragione. L’Italia andrà grazie al nuovo stile di governo e lo si vedrà appena il ciclo esterno aiuterà un po’, pur scontando l’effetto depressivo di una Germania di sinistra che non riuscirà a riformarsi e rallenterà tutta l’eurozona. Ma l’arroganza di Scalfari apre una ferita mai rimarginata: come mai i portatori di una cultura imbecille hanno ancora tanto peso da noi e, soprattutto, sentono di poter parlare come accusatori invece di sedere sullo scranno degli accusati? Questo fatto di fondo non riesco a mandarlo giù. E vista la violenza di costoro propongo che sia ora di imputarli, culturalmente. Spero ci sia qualche ricercatore che possa mettere insieme una storia d’Italia degli ultimi decenni chiarendo chi ha fatto cosa, riportando alla luce le malefatte e gli errori ed attaccando a ciascuno nomi e cognomi. Deve venir fuori il disastro fatto da questa gente. Non per violare alcun loro diritto di espressione, ma per chiarirne l’illegittimità morale e l’inconsistenza. Sarà un processo al passato utile al futuro perché il primo non lo abbiamo ancora chiuso in quanto gli impuniti sono ancora lì. E permettetemi, Direttore e proprietari de il Giornale, di suggerire che la prima missione della Fondazione, spero, in progetto sia l’istruzione di tale processo. Nel mio piccolo, così forse quell’amore privato che persi capirà che fu una schifosa violenza, e non il sentimento, a dividerci.