Signor Direttore, nel crescente dibattito, qui e altrove, sul manifesto della cultura proposto da Forza Italia mi sembra sia rimasto ancora opaco il punto essenziale. Io lo ho interpretato come segue, in base alla lettera di invito ricevuta. Il “Dipartimento cultura” di questo partito chiede a quelli che a vario titolo operano nella produzione e diffusione di idee di “offrire il loro apporto al grande progetto di cambiamento già avviato dal governo”. A me sembra una richiesta molto precisa, da valutarsi come tale e non come questione generale dei rapporti tra politica e cultura, che inquadrerei così: (a) Berlusconi ha promesso un cambiamento forte e rapido del Paese in direzione liberalizzante e modernizzante; (b) il progetto è piuttosto difficile e denso di ostacoli dovuti al fatto che l’Italia è dal 1963 imprigionata in un modello sbagliato che la ha arrugginita; (c) per rimuoverli è richiesto uno sforzo straordinario; (d) in particolare sul piano delle visioni morali e tecniche dove il governo trova un pensiero antagonista molto radicato e diffuso che ne rallenta l’azione e spesso gli impedisce di farsi capire. Non sono così intellettualmente raffinato come i tanti che hanno tessuto ghirigori benevolenti, demonizzanti o ironici addosso al manifesto, ma mi sembra che ponga una questione molto semplice ed esclusivamente “politica”: ci date una mano su una materia dove le forze antiriformiste hanno un vantaggio su di noi? Perdincibacco se ve la diamo. Ma non è questo il punto. Lo è, invece, il come una manciata di “intellettuali” liberalizzanti potrà essere realmente utile.
Tra i tanti firmatari vedo i nomi degli amici che da anni sono in trincea contro il pensiero tecnico terrapiattista della sinistra, il suo conservatorismo, moralismo ridicolo perché non sposa valori e fattibilità, complicato da demagogia, irrisione di fatto del debole quando lo si vuole tenere tale e babysitterato invece di renderlo forte. Cosa possiamo fare di più, cari amici di Forza Italia? Cosa cambia se ci mettiamo insieme sotto un manifesto in relazione all’effetto che stiamo già producendo? In circa duecento, stima ad occhio, siamo sempre gli stessi che giriamo in una sorta di circo itinerante delle libertà. Forse l’organizzarsi in nome di una missione darebbe la sensazione che anche a “destra” c’è “cultura”, smontando con evidenza tangibile l’accusa da parte della sinistra che da queste parti non vi sia? Se serve, va bene. Ma servirà? Dovremmo bilanciare il potere dei sinistri nelle università dove hanno conquistato cattedre non per merito, ma per cordate ideologiche organizzate entro una strategia di egemonia culturale? Io ho dovuto emigrare tanti anni fa e andare ad insegnare in America (fortuna nella sfortuna) per questo motivo. Ma non mi sognerei mai di ripagare con la stessa moneta. Lotterei caso mai, affinché l’università diventi un luogo di eccellenza che premi la capacità tecnica, irrilevante se uno sia sinistro, destro, verde, blu o zulù. Ma non c’è bisogno di un manifesto per questo. Fare, allora, gli apostoli? L’ho fatto, dal 1995, in almeno trecento conferenze – sotto il logo dell’Associazione del Buongoverno – in tutta Italia, privilegiando le città e cittadine dove i liberisti e popoloproduttivisti locali dicevano che nessuno se li filava. Mi ha cambiato la vita: la gente aveva le parole di libertà nel cuore, ma serviva uno che le organizzasse e lasciasse un po’ di bibliografia affinché diventassero cultura, cioè codice. Nessuno glielo aveva fatto in vivo, mai le avevano sentite in televisione, e sul tema si sorbivano le tirate del sacerdote trozkista o dell’intellettuale comunista e post : “ci ha cambiato la vita, professore, dando una teoria a ciò che sentiamo per istinto”. Amici, avete voi cambiato la mia. Per inciso, comincio a pensare sia vero che la spina dorsale del Paese sia l’Italia di provincia, per niente provinciale – ed è fatto quasi unico al mondo - in quanto produce ricchezza e cultura più di quanto succeda nei grandi centri urbani. E’ una traccia? Comunque organizzare l’istinto di libertà in linguaggio strutturato è apostolato serio, ma lo facciamo già in tanti, spontaneamente. Cos’altro? Beh lo si discuterà, ma voglio qui dare tre idee organizzative. La più grande barriera alle riforme è l’ignoranza, quella, in particolare, indotta dal primato dell’ideologia sul pensiero tecnico, metodo perseguito dalla sinistra. Lo si combatte aumentando i luoghi dove l’analisi tecnica possa filtrare al grande pubblico, non con una ideologia antagonista simmetrica. Seconda, ma non siete stufi dei Pelanda e simili che scrivono e testimoniano liberalismo da anni? Forse sarebbe saggio che la mia generazione lasciasse spazio a quella successiva, più giovane e portatrice naturale di futurizzazione. Sudo nello scriverlo perché non vorrei essere licenziato a 50 anni portati alla grande, ma questa missione di trasferimento sarebbe un punto importante di sviluppo del manifesto per la cultura. Direttore, ma quello principale forse è un altro: se Forza Italia ha sentito la necessità di rischiare un delicato appello agli intellettuali, allora vuol dire che non c’è un numero sufficiente di Fondazioni culturali liberalizzanti che faccia questo lavoro al posto dei partiti. Non potrebbe il Giornale, roccaforte del liberalismo da sempre, crearne una?