Tra qualche giorno verrà siglato l’accordo di associazione della Russia alla Nato, l’Italia protagonista di tale sviluppo e non solo ospite. Evento storico perché mette definitivamente fine alla Guerra fredda? Anche, ma ha un potenziale prospettico molto più rilevante. Potrebbe dare inizio ad una nuova architettura politica dell’Occidente. Oppure fermarsi ad un’intesa limitata. E’ materia complicata che trascende gli spazi di un commento. Ma, scusatemi l’anomalia, forse usando dei ricordi personali potrei tentare di introdurvi più sinteticamente nel tema e nei motivi per perorare la prima opzione.
Nel 1994 partecipai ad un incontro tra il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), per il quale stavo svolgendo ricerche, e l’ufficio per il Net Assessment (valutazioni e previsioni) del Pentagono. Lo scopo era quello di confrontare le metodologie per le analisi di scenario. Nelle pieghe discussi con il vice del centro statunitense, Epstein, il problema, apparentemente scherzoso, di dare un nome allo scenario futuro (2025). L’americano ammise che non aveva altra idea se non definirlo “post-post-Guerra fredda”. Intendeva un periodo storico in cui avremmo dovuto aspettarci di tutto. Dai nazionalismi proliferativi a cento Balcani, dal terrorismo come nuovo strumento di guerra asimmetrica (infatti) a crisi geoeconomiche determinate dai cambiamenti climatici. Nello sbirciare i suoi dati vidi che erano orientati da curve di probabilità finalizzate ad individuare i rischi più probabili a livello globale, ma ciascuno inquadrato in modo piuttosto incerto. Io contrapposi l’idea che se la matrice dei rischi era così vasta ed indeterminabile allora non la si poteva semplificare scommettendo su quali sarebbero stati prevalenti. Bisognava fare un’altra operazione cognitiva: chiedersi quale riconfigurazione dell’Alleanza sarebbe stata sufficiente per poter dominare qualsiasi rischio, vista la difficoltà di prevederli e l’impossibilità tecnica e politica per gli Usa di controllarli, da soli, tutti. Il mio calcolo portava alla necessità di integrare America, Europa, Russia e Giappone (e Australia) per ottenere tale effetto scala. Cioè allargare la coperta occidentale per coprire un letto globale che si stava ingrandendo invece di scommettere se fosse meglio mettere al caldo il piede sinistro o la spalla destra, uno comunque condannato al freddo. E proposi di scenarizzare la nuova era non con termini “post”, ma “pre”: dell’Occidente esteso (Enlarged West). Il mio interlocutore proferì un cortese “interessante”, ma cambiò discorso. Probabilmente non riteneva realistica l’idea. Uscii un po’ frustrato dal Pentagono, sentimento che si amplificò quando sostenni la medesima ipotesi strategica in alcuni think tank europei: i colleghi francesi furono scandalizzati per la mia assenza di “esprit europenne”, quelli tedeschi mi liquidarono con un “unmoglich” (impossibile). In Giappone, nel 1996, la strategia che ipotizzavo trovò buon commento sulla prima pagina dello Yomiuri Shinbum. Ma nel seminario in cui la presentai le èlite nipponiche presenti guardavano, mentre parlavo, sia Joseph Nay (che aveva da poco realizzato il trattato bilaterale tra Giappone e Usa) sia il rappresentate del governo cinese: ambedue distratti. Quindi scusatemi un po’ di emozione se ora i fatti mostrano che di fronte al realizzarsi di tre rischi combinati - proliferazione, terrorismo e prezzo del petrolio – gli occidentali devono cooptare la Russia che ha potere rilevante per aiutare a contenerli tutti e tre. Era ed è ovvio: inevitabile allargare la coperta. Ora che questa formula si dimostra realistica e non fantapolitica, tuttavia, andrebbe raffinata. L’accordo con la Russia, infatti, si basa sull’emergenza detta, ma non è ancora orientato dall’idea che un’alleanza occidentale allargata e più unita sia lo strumento migliore per affrontare il complesso dei rischi futuri di instabilità globale. Questa consapevolezza dovrebbe emergere meglio, o almeno essere dibattuta di più. Un’agenda di integrazione progressiva sia militare sia economica tra Usa e Unione Europea indurrebbe un effetto volano per agganciare sia Russia sia Giappone, trasformando i G8 in un’area politica unica. La sua forza militare sarebbe non sfidabile da alcuno. Di conseguenza quella politica avrebbe il potere di incanalare i nazionalismi emergenti e proliferanti di Cina, India ed altri. Vi sarebbero più risorse coordinate per finanziare i paesi poveri e più mercato per attrarne le esportazioni. Un qualsiasi incidente di grandi dimensioni (bellico, terroristico, ecologico), tali da generare sfiducia nel delicato ciclo finanziario globale, verrebbe compensato dalla solidità e credibilità riparatrice di questa futuribile Unione occidentale. E’ un’ipotesi difficile perché implica la conversione del progetto europeo, la rinuncia americana all’esclusività imperiale, mutamenti politici e culturali profondi sia in Russia sia in Giappone. Ma è la via giusta, non importa se attuabile in molti decenni: qualora diventasse obiettivo condiviso di prospettiva i suoi effetti positivi si farebbero sentire molto prima. Con questo non intendo invocare una proposta italiana, ora, in un momento in cui le trattative politiche sono già piuttosto complesse su temi meno visionari. Ma vorrei invitarvi a far emergere e ad esportare un pensiero italiano (tecnico e politico) nella direzione detta. Io l’ho imparata da maestri italiani. Ritengo che la nostra scuola di cultura e scienza politica possa dire più cose e senza timidezze agli alleati attuali e futuri