Il summit dei G8 a Genova, problemi d’ordine pubblico a parte, ha dato buoni risultati. Tra questi uno fa particolarmente discutere gli specialisti. Per la prima volta, pur politica avviata a Lione (1996), il G8 ha assunto la responsabilità di iniziative concrete per i paesi poveri: creazione di un fondo per il contenimento dell’Aids; inaugurazione di un dialogo diretto con i paesi poveri (l’evento politicamente più significativo); impegno a prendersi cura dell’Africa, il continente più disastrato del pianeta. Alcuni commentatori indicano in tali passi l’avvio di un’iniziale trasformazione di questo organismo dedicato alla consultazione informale tra potenze (e senza mandato per iniziative vincolanti) in una vera e propria istituzione formale di governo planetario. Altri sostengono che si tratta di iniziative per lo più simboliche destinate a captare il consenso delle opinioni pubbliche occidentali sensibili all’idea che bisogna fare qualcosa per i poveri. E che non annunciano una svolta istituzionalizzante del G8. A me sembra che la verità stia in mezzo, ma con una prevalenza della prima tesi. Per analizzare meglio la questione vediamo in breve l’evoluzione del G8.
Il gruppo dei grandi è nato con la missione di gestire emergenze che richiedevano un alto grado di cooperazione internazionale: un gruppo di pompieri costruito per spegnere gli incendi attizzati dalla fine dell’ordine mondiale post-bellico disegnato a Bretton Woods (1944) e crollato nel 1971. In quell’anno gli americani si resero conto che non potevano più gestire da soli la sicurezza e la stabilità economica del pianeta intero e cooptarono gli alleati in un sistema condiviso di responsabilità. Inizialmente fu molto ristretto e riservato: il Library group organizzato da Kissinger (1973) come luogo di consultazione informale con tedeschi e Giapponesi (G3). Poi l’idea divenne più strutturata ed allargata in termini di consultazione permanente davanti ad un “caminetto” (vertice dei G5 a Rambouillet, 1975). Fino ai primi anni ’90 i G5, poi G7 (e G8 dal 1998) non si segnalarono per particolari attività, ma dopo fu un crescendo. Si stava formando un’economia globalmente finanziarizzata e montava un clima tempestoso. Il summit del 1995 (Halifax) fu cruciale per organizzare la cooperazione utile a gestire la crisi messicana: coordinarono le loro politiche nei luoghi operativi di intervento multilaterale, in questo caso il Fondo monetario internazionale. E’ indicativo che la cooperazione per la gestione di un’emergenza non si trasformò in politiche più raffinate e costruttive per prevenirne altre. Ed infatti nel 1997 e 98 vi fu la crisi asiatica. Tale esempio indica perfettamente cosa è il G8: un sistema di medicina d’urgenza, ma non di costruttori. Per il semplice fatto che tra le nazioni il consenso viene raggiunto quando c’è un guaio grosso e chiaro, ma non altrettanto in casi di politiche costruttive o preventive dove la divergenza degli interessi non è domata dall’emergenza.
Nel 1993 vi fu una svolta notevole. Proprio in un vertice G7 fu sbloccato l’impantanato Uruguay Round e si ideò l’attuale Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma nel 1999, in un altro vertice G8, non si preparò un’agenda convergente della Wto stessa tra americani ed europei. Clinton aveva scontentato i sindacati americani aprendo alla Cina l’accesso alla Wto e li compensò, in periodo pre-elettorale, tutelandone interessi protezionistici di settore. Il summit Wto di Seattle, del dicembre 1999, fallì per questo e non certo per la violenza dei contestatori, utili idioti che coprirono un problema ben più grosso di disaccordo tra le nazioni. Ma in questi giorni nel summit G8 di Genova si è deciso di far riprendere la strada costruttiva alla Wto proprio perché il blocco della sua agenda di negoziati è stato considerato una situazione di emergenza, per tutti. D’altra parte, restano dissensi formidabili sull’ecopolitica globale, sullo scudo antimissilistico. Ma non sull’idea di cooperare per ridurre la proliferazione degli armamenti non-convenzionali.
Queste battute servono a mostrare che il G8 sta effettivamente movendosi verso una missione di governo mondiale “strutturante”, ma sempre entro il limite di poter trovare accordi solo su questioni d’emergenza riconosciute come tali. Tale tendenza più costruttiva non è una volontà, ma una necessità dovuta all’irruzione della globalizzazione. Da una parte, i Paesi ricchi esportano ricchezza (denaro, informazione, tecnologia, accessi di mercato) verso quelli poveri. Dall’altra, per la stessa via di apertura delle frontiere, importano molta povertà in forma di eccesso di immigrati, chiamata per interventi bellici, malattie, competizione sleale, ecc.. E proprio per importare meno cose negative senza dover chiudere i confini, i Paesi ricchi saranno costretti sempre di più combattere la povertà nei luoghi di origine. In questo senso il G8 sta incorporando un numero più ampio di emergenze su cui c’è consenso per gestirle con politiche comuni. L’Aids è quella più pericolosa perché è alle soglie di trasformarsi in pandemia. L’Africa va riordinata con forti tutele esterne perché da sola non ce la può fare. Per tali motivi le iniziative di Genova non sono per niente nominalistiche, ma reali perché di interesse strategico dei ricchi. Non sono uno strappo in quanto si configurano come continuità della missione originaria dei gruppo di gestire emergenze. Non sono indizio di un governo diretto del pianeta, ma certamente di un futuro impegno ad estendere i casi d’emergenza che il G8 vorrà governare direttamente. Valutazione? Piuttosto rassicurante: il G8, sia come istituto di consultazione continua sia come summit annuali, tende a fare il meglio che può fare entro i suoi limiti di consenso, allargandoli pian pianino sempre più.