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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2002-1-30il Giornale

2002-1-30

30/1/2002

La cultura del pessimismo

Poiché le idee di sinistra non riescono più a stare al mondo, allora chi ne è portatore dice che questo è cattivo o in pericolo. Se fossero in pochi, pazienza. Ma, pur non tanti, sono concentrati nei luoghi dove si produce la cultura e l’informazione, in Italia e in buona parte d’Europa. E qui c’è la distorsione: gli sconfitti mantengono il potere di descrivere il mondo dei vincitori. La borghesia produttiva che crea ricchezza è dipinta come una massa di ignoranti e perversi. Il capitalismo globalizzato, che sta portando ricchezza e modernità in modi perfino sorprendenti, dappertutto, è l’apocalisse. L’Italia governata da Berlusconi comincia ad andare come mai fece dagli anni ’50 in poi e centinaia di professori universitari sono scesi in piazza (a Firenze) per denunciare che la nostra democrazia è in pericolo. C’è un divario troppo forte tra realtà e rappresentazione prevalente.

Se la guardiamo più a fondo, la questione è tra ottimismo e pessimismo. La realtà, complessivamente, mostra che il modello occidentale borghese sta andando bene. La rivoluzione democratica, iniziata due secoli fa, ha realizzato due passi importanti nella sua tendenza di trasferire ai tanti i poteri dei pochi. La proprietà politica degli Stati è stata trasferita dai re ad istituzioni democratiche. La ricchezza concentrata è stata trasferita alle masse. Lo sviluppo della tecnologia è tale da renderla un meccanismo di salvazione reale e concreto in terra. Certo, è successo di tutto anche in male. Ma siamo qui e ciò dimostra che la storia può essere guidata verso il bello nonostante le voragini in cui ogni tanto cade. Piccolo problema: non con gli strumenti concettuali e tecnici della sinistra. Mai una sua idea economica ha funzionato. Le altre nemmeno. Senza il coraggio intellettuale di ammetterlo e passare a nuovi concetti. Senza la forza morale di condannare il comunismo come un equivalente del nazismo, cosa che in realtà fu. Infatti da anni la sinistra riflette sulla propria crisi, non risolvendola, ma esasperando l’odio antagonista del disperato. Non impara dal successo del capitalismo di massa, ma lo nega enfatizzando le minoranze che ne sono ancora escluse. Le idee di sinistra sono sconfitte? Bene, la lotta al capitalismo venga continuata dall’ambientalismo orientato in modo tale da frenarlo. La borghesia produttiva sprizza di gioia perché lavorando duramente nella creazione della ricchezza  può conquistare il piacere materiale dato dal denaro? Scandalo, si ricordi a questa gente il dolore, che la tragedia è dietro l’angolo, la si porti al cinema per vedere questo e provare una sana tristezza almeno la domenica pomeriggio. E se uno vuole vedere cose più divertenti proprio perché la gente conosce tanto bene la tragedia da volersene liberare per esaltare lo spirito che la supera? Americanate, ovviamente. Lo certifica l’èlite culturale di sinistra a Parigi: mai più Star Wars, ma raffinati film intimistici, la borghesia sempre in crisi, mai rappresentata quando lavora. Vi viene il sospetto che questa non sia cultura, ma una vendetta contro la borghesia vincente?

Qualcuno potrebbe dire con ragione che la cultura non ha l’obbligo del realismo. Ma proprio per questo ha la libertà di scegliere tra ottimismo e pessimismo e di quanto aderire alla realtà. Non mi preoccupa che la sinistra opti per il pessimismo e per il rifiuto della realtà. E’ importante che nella necessaria varietà delle idee rimanga la “cultura critica”. Anche se è talvolta irritante aver a che fare con pomposi intellettuali e colleghi ricercatori che invitano prima a condannare e poi a conoscere, in sostanza perché il primo atto è più facile del secondo. Non perdono alla sinistra, invece, il volerci travolgere nel suo sentimento di disperazione solo perché ha perso in questo mondo e vuole tirarci tutti dentro per nascondere il fatto. E’ l’ottimismo che ha vinto. Dopo l’Olocausto e le guerre mondiali la gente non si è arresa all’idea che il mondo è malvagio. Ha ricostruito. Il povero non si è arreso al pessimismo di chi lo voleva irreggimentato in un collettivismo difensivo, ma  ha cercato il successo individuale, ottenendolo. Le giornate sono dure, spesso terribili: il borghese va avanti lo stesso, la sinistra invita a rifugiarsi nelle stupende colline toscane. Il borghese crede che la società occidentale sia buona e se qualcuno l’attacca la vuole difendere con le armi. La sinistra non crede che questa società sia buona – perché in essa sconfitta - e se qualcuno l’aggredisce, tipo i terroristi, pensa che questi abbiano qualche ragione. Quindi il pessimismo culturale è pericoloso perché indebolisce i motori sociali che fanno superare le difficoltà della storia. L’ottimismo li fa girare più veloci e grazie a questo la storia è tendenzialmente guidata verso il bene, supera la tragedia. Soprattutto, la speranza futura trova manutenzione attraverso il piacere di sentirsi vivi nella quotidianità, con qualche sprazzo di allegria. Che per questo è un valore intellettuale tanto quanto il librone coltissimo e visionario. E’ lo spirito dell’ottimismo borghese (società proiettiva), e non la sinistra (società di difesa, chiusa) storicamente pessimista, che ha creato quello che di buono c’è nella modernità. Per questo vi invito a provare l’orgoglio culturale di essere borghesi. Bunuel vi ha rappresentati seduti sui gabinetti? Alzatevi con scatto gioioso e tirate la corda. Cultura più igienica dello star lì a rimestare le feci come sembra piaccia alla sinistra.   

(c) 2002 Carlo Pelanda
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