Sì, la svolta c’è. Vorrei darle un nome tutto italiano, “cosaverismo”, perché è stato specifico dell’Italia il difetto che ha contribuito all’anomalia negativa del nostro Paese dalla fine degli anni ’60 in poi: il “cosafalsismo”. Il regalo che troviamo sotto l’albero è che per la prima volta da decenni abbiamo un governo che dice e fa “cose vere”.
Infatti il problema nazionale non è stato solo la pervasività del potere della sinistra con tutte le sue idee sbagliate, magagna storica che condividiamo con altri Paesi europei, ma il fatto peggiorativo di una classe politica, sporadiche eccezioni a parte, che neanche tentava di aderire alla realtà. Per esempio, un modello assistenziale è sempre sbagliato, ma il suo errore di fondo può essere almeno attutito da una buona gestione, dal desiderio, appunto, di fare cose vere. In Francia e Germania l’inefficienza del dirigismo e del modello renano è stata parzialmente bilanciata dal tentativo di far funzionare realmente il metodo. Da noi, invece, i diversi centrosinistra non ci hanno neanche lontanamente provato. Insegnanti? Nessuno osò pensare che servivano per educare. Investimenti al Sud? Servivano solo a tirarne altri, irrilevante l’efficacia. Il debito? Dettagli. Efficienza dell’amministrazione pubblica? Figurarsi, se ci fosse stata un elettore non avrebbe avuto bisogno del politico per svolgere una pratica e non sarebbe diventato suscettibile di un invito a ripagarlo con un voto di scambio. Continuate voi la lista su questa traccia e troverete l’Italia dal 1970, circa, al 2001: un’incredibile poltiglia di cose false. Che si è indurita formando una crosta tale da rendere difficile smuovere gli ingranaggi dello Stato per riformarlo e grazie a questo togliere all’economia i pesi che l’hanno soffocata fino al punto da portarci agli ultimi posti delle classifiche mondiali di competitività. Per questo motivo ero molto preoccupato nell’estate scorsa. Percepivo nel governo una sincera volontà di realizzare il cambiamento, ma notavo la difficoltà di martellare la crosta. Invece ci sono riusciti, per lo meno in termini di sblocco iniziale: avremo un ponte di Messina vero e non una Gioia Tauro falsa; le tasse scendono sul serio e non per finta. Non voglio ripetere tutte le notizie di cronaca di questi giorni, ma è utile sottolinearne il significato d’insieme: la cosa va, è quasi un miracolo, bravo il governo – anche nello stile di non prendere di punta chi vuole bloccare, ma senza rinunciare alla determinazione – e bravi chi di noi lo ha messo al potere. Niente apologie, nessun entusiasmo prematuro, ma bisogna anche saper fare e farci i complimenti quando sono meritati. La cosa va perché è finalmente vera.
Il mestiere che faccio mi porta a riflettere sulle conseguenze che potrebbe avere la svolta italiana sul piano estero ed internazionale. Un’Italia che fa cose vere non è una buona notizia per alcuni nostri partner. Per esempio, la Francia – senza alcun intento di criticarla oltre modo - ha l’interesse a condizionare le scelte politiche ed industriali italiane, con la scusa dei programmi europei, per trovare risorse esterne utili a finanziare un modello di potenza nazionale che altrimenti non potrebbe essere sostenibile. Con la Germania ed il Regno Unito non può neanche tentare un tale giochino. In Spagna c’è poco. Resta, appunto, l’Italia che fino a pochi mesi fa era piuttosto cedente perché cosafalsista: chiamava lealtà europea un business di interesse nazionale altrui a nostro danno. Con una marea di sprovveduti o “stimolati” che rimarcavano la cosa sui media. La frase di Berlusconi – se è stata correttamente riportata – “io dare cammello, tu pagare” è stato un evento storico fondamentale nel sistema di relazioni tra Italia ed europartner: si negozia alla pari e si fissa un giusto prezzo. Ciò è stato visto come scandalo, ma la teoria sottostante è raffinata: le alleanze devono basarsi sulla capacità di riconoscere gli interessi concreti di ogni nazione per poi poterli riuscire a comporre pragmaticamente e non in base al principio che un paio di forti possano pretendere che l’interesse degli altri si pieghi al loro. Va apprezzato anche sul piano generale: è pericoloso per l’integrazione continuare con l’eccesso di prevalenza di Francia e Germania sugli altri in quanto produce costruzioni sbilanciate o il rischio di controreazioni nazionaliste dai Paesi più soffocati. Quindi un’Italia capace di definire e negoziare il proprio interesse, vista la nostra scala non piccola, è un buon segnale per un’”Europa dei pari”, dove tutti possano sentirsi a loro agio. Che, lasciatemi sognare, potrebbe facilitare l’entrata nell’euro del Regno Unito, ora impedita dalla pur indebolita diarchia franco-tedesca. Un tale evento sarebbe il “vero” suggello per un’Europa che voglia dirsi “vera” e forse l’Italia cosaverista potrà dare un contributo in tale direzione. Quella cosafalsista era d’ostacolo perché appendice e non leva. Non trovo niente di adolescenziale nel fatto che l’Italia voglia un gioco europeo più bilanciato, per rassicurare lo stimato Mario Monti che teme azioni irriflessive. Non vedo alcun segno in questo governo di orgogli nazionali irrealistici o inconsapevolezze su quanto debbano essere prudenti i comportamenti nella difficile arena europea. Fa, semplicemente, cose vere. Ecco, secondo me andava detto senza troppa enfasi e con semplicità. Anche perché l’emozione di trovarci in un’Italia cosaverista è talmente sorprendente da non lasciar spazio ad altre, eccetto gli auguri sinceri a voi, cari lettori.