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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2001-2-19il Giornale

2001-2-19

19/2/2001

Il Polo e il Sud

 Le proposte della Casa della libertà per lo sviluppo delle regioni meridionali si basano su un cambiamento totale di prospettiva: il Sud non va visto come un problema, ma come un’opportunità. E’ una svolta storica. Ma non viene percepita e discussa perché sabotata. L’Ulivo, privo di visioni ed idee, cerca di delegittimarla, banalizzandola come panzana. Tale tattica comunicativa trova la complicità, diretta o indiretta, della maggior parte dei media. E mira, in particolare, a distruggere il chiodo a cui è appesa la catena logica dei programmi concreti della Casa delle libertà: l’ottimismo. E’ un gioco culturalmente sporco. Invece di proporre cambiamenti (per esempio la riforma competitiva) che non sanno né possono fare, gli ulivisti preferiscono cercare di convincere gli italiani che non sia necessario e che, implicitamente, il Paese non è forte abbastanza da poterselo permettere. Appunto, la visione pessimistica favorisce la continuità del presente togliendo il coraggio per sperimentare e vedere vie nuove. Sporchissimo nei confronti del Sud: è una terra piena di opportunità, ma la strategia pessimistica le nega per indurre la paura e la continuità della domanda assistenziale. 

 Se cambiamo occhiali ed adottiamo una visione di “bicchiere mezzo pieno”, infatti, troviamo una situazione molto migliore. Non esiste un Sud omogeneo, ma ci sono tanti sud differenti. Per esempio, lo stereotipo è che la criminalità sia diffusa dappertutto e che ciò impedisca gli investimenti. La realtà è diversa. I fenomeni criminali ostili allo sviluppo (racket) sono concentrati solo in poche aree e quindi risolvibili con azioni selettive. Le situazioni economiche sono molto differenziate: alla Puglia basta poco per renderla simile al Nordest (collegamenti e flessibilità), la Calabria ha certamente bisogno di più azioni di sostegno (motore di lavori pubblici). In sintesi, una tale rappresentazione  farebbe vedere subito che esistono tanti sud molto carichi di opportunità. Per esempio: buona qualità media del capitale umano combinata ad alta propensione al lavoro ed all’impresa; costo della vita inferiore del 25% a quello del nord e di buona parte dell’eurozona; elevati potenziali di valorizzazione territoriale (agricoltura di qualità, turismo, ecc.). Poi c’è una serie di potenziali anomali, ma interessantissimi. Mezzo secolo di assistenzialismo ha prodotto certamente danni depressivi, ma ha anche depositato sul territorio molti valori economici rimasti inutilizzati. Per farmi capire: con i soldi pubblici hanno fatto un albergo in un posto da sogno, ma l’ombrello assistenziale non ha incentivato una gestione efficiente in quanto l’iniziativa era vista solo come scusa per mungere cassa. Se uno volesse fare l’imprenditore sul serio, l’albergo lo troverebbe già e gli basterebbe spendere poco per guadagnare molto (se si aggiungessero un aeroporto ed una strada decenti). Appunto, la visione ottimistica trova che tanti sud non sono un deserto, ma aree dense di opportunità già predisposte e non sfruttate.

 Ma perché il capitale privato non le ha colte, finora? Per tre motivi: (a) costi logistici penalizzanti a causa della lontananza del Sud dal centro geografico del mercato europeo e di infrastrutture inefficienti o mancanti; (b) non ci sono state iniziative veramente determinate che abbiano comunicato al mercato le opportunità residenti ed allocato le risorse finanziarie pubbliche – nazionali e comunitarie - in modi mirati per permettere a nuovi investitori di sfruttarle; (c) non è stata fatta una bonifica criminale seria, a tolleranza zero, nelle aree a più alta patologia. Come mai nessuno ha mai tentato di risolvere seriamente questi problemi? Perché per molti è stato più vantaggioso far continuare l’assistenzialismo piuttosto che ridurne la necessità: gli statalisti; i sindacati; molte èlite locali diventate tali perché collocate nel centro di smistamento – spesso illegale o comunque non trasparente - di risorse pubbliche; i soggetti industriali opportunisti che hanno visto nel perdurare dell’assistenzialismo un’occasione per ottenere soldi dallo Stato a fronte di investimenti spesso fittizi. Tale massa di interessi ha generato e consolidato la visione pessimistica nei confronti del Sud: è troppo svantaggiato per essere sviluppato con mezzi di libero mercato. Così ci siamo abituati a considerarlo come un’area omogenea, tutta piena di problemi irrisolvibili. E tale visione pessimistica (per motivi pelosi) ha determinato una politica che indirizza il capitale pubblico non verso impieghi che chiamino altro capitale privato, ma verso usi di mero mantenimento dello status quo (il bottino). Il punto tecnico è che il tipo di visione influenza moltissimo i modi di allocazione del capitale. Ecco perché potremmo dire, senza timore di esagerazione, che la questione meridionale è un complotto, l’induzione di pessimismo lo strumento principale.

 Tali argomentazioni servono a motivare il perché la visione ottimistica del Sud sia una svolta preliminare, ma cruciale, per colmare l’altra metà del bicchiere mezzo pieno. Fa vedere la fattibilità dello sviluppo attraversi mezzi normali: infrastrutture, incentivi per ridurre i costi industriali e compensare la marginalità territoriale, sicurezza. Azioni non facili, ma già condotte con successo in territori perfino più svantaggiati del nostro bel Meridione, quali la Spagna meridionale, il Nord del Portogallo, l’Irlanda ed il Galles. Avviate, guarda caso, da una svolta ottimistica nella politica in questi paesi: la fiducia nei mezzi del mercato ed un uso delle risorse e regole pubbliche per facilitarlo invece che ostacolarlo. Altro che balle.

(c) 2001 Carlo Pelanda
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