Nello scenario attuale e dei prossimi mesi c’è un punto critico da chiarire. Il mercato finanziario ha una voglia matta di rally in Borsa. Gli operatori dei fondi azionari sono disperati perché è quasi un anno che non riescono a fare buoni risultati. E i risparmiatori sono inquieti, molti con perdite attorno al 20%, quelli rimasti intrappolati nel crollo della bolla relativa ai titoli Tmt (tecnologici, media e telecomunicazioni) perfino del 50% o più. E’ comprensibile, quindi, che il mercato tenti di usare anche minime notizie positive, nel mare di quelle negative che caratterizzano un anno recessivo in America ed in Europa, per stimolare un rialzo dei titoli il prima possibile. In settimana ci sarà un evento importante al riguardo: la riunione periodica del comitato monetario (Fomc) della Federal Reserve americana. Molto probabilmente Alan Greenspan attuerà l’ennesima riduzione dei tassi monetari di riferimento per spingere la ripresa economica negli Stati Uniti – o per arginare la recessione, ancora non è chiaro - e, quindi, nel resto del mercato globale. Ovviamente c’è la tentazione di interpretare questo evento come segnale che si è vicini alla fine del ciclo basso e che si può tornare a comprare, anticipando rialzi generalizzati che poi verranno più avanti. Ma la realtà mostra – a parte l’analisi tecnica di singoli valori azionari che hanno storia propria - che non è ancora arrivato il momento di fare questa mossa. Vediamo perché.
Il clima detto si à già visto nella scorsa settimana borsistica. Ma i tentativi rialzisti si sono scontrati, nelle Borse americane, con una sequenza di allarmi sui profitti futuri da parte delle aziende quotate. Specialmente quelle “tecnologiche”, in teoria il comparto a più rapida crescita e quindi il più interessante per manovre speculative. E tale situazione ha influenzato negativamente i corsi europei, a cui si sono aggiunti altri guai locali. Non è escluso che mercoledì e giovedì prossimi, quando ci sarà l’annuncio della riduzione dei tassi, molti tentino di riprovare il rally rialzista. Sarebbe la sesta o settima volta che ci riprovano, senza successo, dall’inizio dell’anno. Il problema di fondo è che molti titoli azionari sono ancora sopravvalutati. Lo sgonfiamento della bolla “dei tecnologici”, nonostante il massacro, non si è ancora realizzato del tutto. Dove lo ha fatto ci sono altri problemi, tutti sintetizzabili nel fatto che le aziende non faranno molti profitti nei prossimi due trimestri sia perché la ripresa dei consumi deve ancora avvenire sia perché in alcuni settori il mercato è saturo. Non voglio citare casi specifici perché si rischierebbe di danneggiare l’immagine di qualche azienda, ma lo si può dire così: è molto difficile trovare oggi un titolo azionario, in America ed Europa, che abbia, nel breve periodo, potenziali di crescita a due cifre come successe a quasi tutti dal 1997 al febbraio del 2000.
In realtà, anche in quel periodo d’oro le grandi crescite dei valori azionari – pensiamo ai titoli Internet ora azzerati – non erano molto giustificate dalla reale capacità delle aziende di produrre utili e, quindi, dividendi. Le azioni crescevano non sulla base di valutazioni dettagliate ed analitiche, ma sull’onda di una sensazione rialzista generica. Alimentata, in America, da un enorme flusso di capitali dal resto del mondo che cercava impieghi. Il clima di ottimismo dovuto alla crescita strepitosa dell’economia reale li orientava su investimenti sempre più rischiosi e sbilanciati. Si comprava tutto, si scommetteva sugli indici e su altri prodotti derivati, raffinatissimi, ma pericolosissimi per chi non sa maneggiarli. E questo clima americano contagiò gli europei. Per esempio, verso la fine della bolla, si sono notati risparmiatori italiani comprare dei “covered warrant” che avevano un prezzo molto basso senza sapere che ciò indicava una previsione di caduta dei valori, per esempio azionari, sottostanti. Compravano una perdita. Una cosa così folle è successa perché chi li vendeva agli ignari aveva più interesse a liberarsi dal buco che a fare seriamente il proprio mestiere di intermediatore. E’ successo anche di peggio. Qualche giorno fa una nota banca d’affari americana ha pagato una multa consistente all’autorità di controllo delle Borse (Sec) perché ha rigonfiato artificialmente dei valori azionari in fase di quotazione iniziale. Per farla breve, dopo questi eccessi, anche la cultura degli operatori del mercato finanziario è tornata a criteri di comportamento più sobri. Ciò significa che, per la prima volta da anni, adesso si guarda il valore di un’azione in relazione al profitto reale che potrà dare e non in base ad altri criteri meno stringenti. Questo ritorno alla sobrietà, pur parziale, comunque autolimita le tendenze speculative. Ma non al punto di spegnere la voglia di rally: la incanala entro sentieri di valutazione concreta dei valori. Ecco perché i rialzisti concentrano l’attenzione sui segnali dell’economia reale e, quindi, sulla riduzione dei tassi americani che la possono far rimbalzare.
E qui c’è il punto principale. La caduta delle economie è stata tale che comunque ci vorrà un tempo tecnico affinché la ripresa sul piano reale – non si sa ancora se a fine 2001 o a metà del 2002 – sostenga quella dei corsi azionari. Nel frattempo, ogni rally, anche in caso di taglio sostanzioso dei tassi in America (0,50%), si sgonfierà in poco tempo. Un po’ di pazienza.