Lo scenario economico va monitorato ed aggiornato continuamente perché ancora non è chiaro quale sia l’entità reale del rallentamento economico in America e del suo impatto in Europa. La comprensione di questo dato permetterebbe di inquadrare con ragionevole probabilità il momento del futuro rimbalzo verso una nuova crescita e la forza di questa. La sensazione (sostenuta da Greenspan) è che verso la fine dell’anno l’economia statunitense possa tornare a tirare e così ritrainare verso l’alto il resto del mondo e gli europei. Ma bisogna anche dire che questa è una speranza - diventata una sorta di profezia nel mercato azionario innervosito da quasi un anno di incertezza – non ancora visibile nei dati.
I più recenti, rilasciati la settimana passata sia in America sia in Europa, sono francamente brutti. Negli Stati Uniti il calo della produttività - il prodotto in beni e servizi generato da un’ora di lavoro – da febbraio in poi è stato superiore al previsto. Sorprendente è stato anche l’aumento del costo del lavoro, nonostante l’aumento della disoccupazione dal 4 al 4,4%. Che prima o poi si scaricherà sui prezzi al consumo, alzandoli. La ricostruzione delle scorte nelle industrie procede molto a rilento. In sintesi, questi e altri dati mostrano che la contrazione dell’economia americana reale è ancora in corso senza essersi sfogata del tutto e che l’inflazione potrebbe salire. Un tale scenario di “stagfllazione” è quello più temuto in quanto annuncia una ripresa posposta nel tempo e, soprattutto, lenta: invece che a “V” (caduta forte e subitanea ripresa fortissima”) potrebbe essere a “U” (un prolungato periodo di stagnazione), con il rischio di prendere una forma a “L” (caduta e andamento stagnante per un anno o due). D’altra parte i consumi tengono: il cittadino americano continua a comprare, anche se un po’ di meno. Peggiorerà o aumenterà la fiducia dei consumatori? Non lo sappiamo ancora: al momento tiene con un leggera tendenza al ribasso (per esempio, gli acquisti di nuove auto e case). L’autorità monetaria e l’amministrazione Bush stanno facendo tutto quello che è a loro possibile per invertire la tendenza recessiva. La prima sta riducendo i tassi monetari velocemente e ha promesso di farlo fino alla misura che sarà necessaria, ma se aumenta l’inflazione avrà grossi problemi a scendere oltre una certa soglia. Il secondo ha appena formalizzato un maxipiano di riduzioni fiscali che nel prossimo decennio aumenterà la capacità di spesa delle famiglie, ma è incerto quanto queste sconteranno in anticipo tale buona prospettiva.
Così messa, ormai la situazione del secondo trimestre non pare tale da permettere di anticipare un effetto rimbalzo nel terzo. D’altra parte nulla vieta, nei dati, di sperare in una forte ripresa nel quarto. Per inciso, tale incertezza tra due scenari opposti – ripresa veloce e tanta contro rimbalzo lento e poco – era già presente nelle previsioni del Fondo monetario di un mese fa (outlook): ha delineato queste due possibili tendenze senza poter decidere quali delle due era la più probabile. E siamo oggi, a mio avviso, nella stessa situazione.
Purtroppo molto peggiorata per l’eurozona. La caduta dell’export verso l’area del dollaro in Germania (che vi dipende per circa il 13% della sua economia complessiva) ha creato una tendenza recessiva peggiore del previsto. Fino al punto da far temere che la crescita del Pil nel 2001 non riescirà a superare il 2%, soglia sotto la quale il governo tedesco dovrebbe rifare tutti i suoi conti per rispettare la tendenza al pareggio della finanza pubblica. La Francia sta un po’ meglio, ma anche lì le previsioni di crescita sono continuamente riviste al ribasso e comincia a profilarsi una crisi di bilancio, anche messo sotto tensione dalla difficoltà di finanziare l’inefficiente sistema delle 35 ore. L’Italia, grazie all’effetto ottimismo generato dal governo Berlusconi – defiscalizzazione e stimolazione attraverso lavori pubblici -, potrebbe mostrare un andamento contrario al ciclo. Ma, pur probabile che tale fenomeno possa avvenire nel 2002, è difficile che possa iniziare già nel secondo semestre 2001 con grande forza.
Il resto del mondo è in cattive acque, anche se fortunatamente non pessime. Il Giappone è ancora in stagnazione (dal 1992), ma il nuovo governo pare essere molto determinato nell’avviare riforme stimolative, questa volta nel senso giusto. L’Argentina resta appena sopra la recessione, ma non se ne teme più il collasso finanziario come si annunciava qualche mese fa. Il Brasile soffre del rallentamento globale. Così i paesi asiatici, con l’eccezione, ma da confermare, della Cina.
In sintesi, la situazione complessiva non appare disastrosa, ma neppure tale da far vedere la fine del rallentamento. A questo punto dell’anno trovo razionale posporre alla prima parte del 2002 l’attesa del rimbalzo negli Usa e qualche mese dopo in Europa. Come detto sopra, l’Italia potrebbe iniziare prima a risalire ed è abbastanza probabile se l’effetto ottimismo interno non verrà spento da un peggioramento ulteriore del ciclo esterno o da brutte sorprese nel nostro bilancio statale. Personalmente spero ancora che il bel tempo torni verso ottobre perché qualche dato americano settoriale si muove in questa direzione, in mezzo a tanti altri che vanno giù. In ogni caso non ci resta altro che attendere serenamente dati ulteriori che chiariscano finalmente le tendenze. Nell’attesa, prudenza in Borsa.