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Carlo Pelanda: 2000-4-21il Giornale

2000-4-21

21/4/2000

L’editoriale cattivo del Financial Times è in realtà un portafortuna
(titolo originale)

Così parlò il Financial Times: “i governi dell’Unione Europea dovrebbero mettere in chiaro che se il signor Berlusconi dovesse diventare di nuovo primo ministro non gli sarà permesso di perseguire politiche che possano mettere in forse la stabilità dell’Italia”. Merita una risposta.

  Prima di tutto mi piacerebbe fare l’esame di economia  a chi ha scritto queste parole. Anzi, farei volentieri da assistente junior ad una commissione composta dai colleghi, seniores, Martino, Marzano, Ricossa, Tremonti.  Uno dei punti, infatti, è che l’editorialista non ritiene possibile ridurre i carichi fiscali nel nostro paese, nucleo principale dell’offerta politica della Casa delle libertà, senza scassare il bilancio dello Stato. Da una parte è vero che la spesa pubblica è rigida nonché caricata di un debito enorme. Dall’altra, l’editorialista si è dimenticato che forse non siamo così sprovveduti come pensa. Nonostante i vincoli che impediscono una veloce riduzione della spesa pubblica ci sono notevoli spazi di defiscalizzazione. Per esempio, con meno tasse sulle imprese  – se il ciclo economico internazionale è buono come ora – in pochi mesi si raddoppia la crescita, grazie all’incentivazione di nuovi investimenti, e si ottiene il medesimo gettito fiscale, dopo un anno, nonostante le tasse minori. Nessuno osa dire che sia facile. Ma non si può negare che sia fattibile. Poi l’Italia non è l’Inghilterra deindustrializzata. E’ un’area, unica al mondo, di imprenditoria diffusa che reagisce tre o quattro volte più velocemente  alla leva fiscale di quanto lo facciano gli altri Paesi europei con modelli di “capitalismo concentrato”. Il frettoloso editoralista può scegliere tra due alternative: (a) venga in Italia, gli insegniamo a studiare il paese – che per le sue particolarità non è un oggetto facilmente standardizzabile - e un po’ di economia e lui si rimangia quell’arrogante “unfunded tax cuts” (tagli fiscali non finanziabili); (b) lo bocciamo senza appello sul piano scientifico.

 Con un aggravante. Quando, nel dicembre scorso, Schroeder ha annunciato un piano di dimezzamento delle tasse in Germania non ho letto sul Financial Times grandi preoccupazioni. Il governo socialdemocratico, finalmente arresosi all’evidenza, utilizzava la stessa teoria di “meno tasse più gettito” sopra richiamata. Come mai? La Germania ha un debito pubblico del 60% del Pil, metà di quello italiano. Ma per il resto non è così diversa sul piano della rigidità statalista. Anzi, è messa molto peggio a livello industriale perché ha molta manodopera intrappolata in un settore manifatturiero antiquato, stritolato dalla sindacalizzazione, con la complicazione di una parte orientale che non riesce proprio ad adeguarsi al mercato e rimane nel più nero sottosviluppo. Al cui confronto il nostro Sud è un paradiso. Non si capisce perché la defiscalizzazione in Germania non presenti rischi di gettito ed in Italia sì. Evidentemente il frettoloso editorialista lavora con stereotipi e non sui dati.

 E non si capisce perché il Financial Times proponga di mettere sotto tutela l’”inaffidabile” Berlusconi dopo anni che ha lodato un governo di centrosinistra che ha fatto letteralmente a polpette l’economia italiana. Inoltre, tra le righe, era scritto che Berlusconi non ha ancora la credibilità per guidare il paese. E non solo per la questione del conflitto di interessi, ma perché è circondato da possibili ministri cretini e vincolato ad una coalizione con fascisti e pazzoidi indipendentisti, quali Fini e Bossi. Francamente è cosa offensiva ed io non me la sento di farmi dare del buzzurro – in quanto elettore del centrodestra –  senza reagire. Contenendomi, temo che il problema principale sia dovuto al fatto che il Financial Times trae i suoi commenti sull’Italia da personale ed intervistati della sinistra nostrana. Se variasse un po’ le fonti di informazioni forse scriverebbe meno cavolate.

Comunque non voglio entrare oltremisura in polemica con il Financial Times. Io gli devo molto. Quando prevedeva il disastro economico in Giappone, in termini di impossibile ripresa economica, ho messo i miei investimenti in yen e, dopo qualche mese, ho guadagnato quasi il 60% sull’investimento finanziario iniziale. Quando prevedeva la catastrofe in Cina ho fatto lo stesso e realizzato persino di più. Ora profetizza l’instabilità dell’Italia in mano al centrodestra. Mi scuso per l’irriverenza, ma potrebbe essere un buon motivo per investire l’investibile sul nostro paese. Grazie FT, sei un portafortuna.

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