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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1999-6-27il Giornale

1999-6-27

27/6/1999

La nuova ecologia

E' l'alleanza, e non il conflitto, tra ecologia e capitalismo che salva il pianeta. E noi in esso. Questa é la svolta concettuale su cui vi invito a riflettere: passare dall'ambientalismo irrazionale all'ecopolitica razionale. Finora la bandiera della tutela ambientale é stata, per lo più, nelle mani di movimenti anticapitalistici. Per questo si é affermata l'equazione: salvare il pianeta uguale frenare lo sviluppo. Ma questa idea é sbagliata. Non ci può essere conflitto tra il bosco e la fabbrica. Se vince il primo si fa disoccupazione. Se vince il secondo si fa fuori il pianeta. E' un gioco dove ambedue gli attori perdono. Non ha senso.

Come se ne esce? L'idea innovativa é quella di trasformare la politica di tutela ambientale da freno a motore dello sviluppo. Per esempio, la California ha stabilito per legge che entro pochi anni le automobili dovranno avere emissioni contaminative zero. E' un bel problema di costi aggiuntivi per i produttori di auto. Ma é anche uno stimolo per fare un cambiamento radicale nel settore. Questa legge alza i costi manifatturieri se si mantiene il petrolio come carburante base. Se, invece, si usa l'acqua - scomponendola eletttricamente nelle sue componenti di ossigeno, emissione, e idrogeno, combustibile - questi costi non ci sono. Ovviamente bisogna risolvere altri costosissimi problemi tecnici, quali la stabilizzazione dell'infiammabilissimo idrogeno. Ma il punto é che qualcuno sta risolvendo questo problema proprio perché la regolamentazione ecoprotettiva stimola un salto tecnologico, con l'intelligenza di lasciare un certo tempo alle industrie per adeguarsi. E se passeremo dalla tecnologia del petrolio, primitiva e distruttiva, a quella dell'acqua (o simile) il gioco tra natura e sviluppo sarà positivo: nuovo lavoro dovuto al salto tecnologico e meno inquinamento.

L'ecopolitica razionale può stimolare lo sviluppo capitalistico pressandolo per fare continui salti tecnologici. Il problema, infatti, non é quello di bloccare lo sviluppo tecnico, ma l'esatto opposto. Le industrie, senza stimoli forti, tendono ad usare le tecnologie mature il più possibile in quanto più tempo la stessa piattaforma tecnica sta sul mercato più si guadagna da essa. Cambiare tecnologie di base é un incubo per il mondo industriale in quanto comporta più costi di investimento e rischi di mercato. Se non c'é pressione, non lo fanno. E l'ecopolitica razionale deve operare questa pressione. Ma deve farlo tenendo in conto i requisiti di adattamento industriale. Quali? Non quelli di uno specifico cartello di interessi (per esempio il petrolio), ma quelli dell'economia capitalistica in generale. Ciò significa che l'ecopolitica é razionale se diviene un fattore di selezione concorrenziale per le industrie. Per esempio, é chiaro che il lavoratore nel pozzo di petrolio soffre se si passa alla tecnologia dell'acqua (o equivalente sostitutivo). Ma non posso compromettere pianeta e salute per salvare lui. D'altra parte non posso creare disoccupazione. Quindi devo stimolare il cambiamento avendo una buona probabilità che quel lavoratore trovi un'occupazione altrove. E come? Con due azioni collaterali che rendono l'ecopolitica veramente razionale: (a) assicurando la libera concorrenza tra indusrie; (b) stimolando la ricerca sulle tecnologie avanzate. La combinazione tra i due mi da un'alta probabilità che ad ogni regola di protezione ambientale ci sarà un nuovo gruppo di industrie che metterà in campo una nuova tecnologia mentre altre chiuderanno perché imprigionate in quella vecchia. E i lavoratori potranno passare dalle seconde alle prime ottenendo anche minore impatto negativo sui cili naturali. Ecco l'alleanza tra capitalismo concorrenziale e natura.

Per costruirla nel futuro vanno eliminati due ostacoli del presente: l'ecologismo anticapitalista e il capitalismo monopolista e autoprotezionistico. Ambedue bloccano il progresso. E c'é un modo tecnico-politico per farlo. Ma per spingerlo deve avvenire un'evoluzione dell'opinione pubblica. Ed é una questione di fondamenti.

Non si può più lasciare ai verdi la bandiera dell'ecopolitica. Il verdismo é fatto di tante correnti: per esempio, la sinistra sconfitta dal capitalismo che riprende la guerra contro questo in altra forma; i neopagani che adorano la dea terra e demonizzano il progresso. Ma esprimono, tutti, una cultura comune basata su due idee (implicite) di base: (a) eco-pessimismo, l'idea che il mondo di domani non potrà essere migliore di quello di oggi; (b) antiumanesimo, sfiducia nell'uomo e nelle sue risorse generative. In particolare, l'ambientalismo ideologico é di fatto postcristiano. Dio affidò a Noè i viventi del pianeta. Fu un atto di alleanza e fiducia nell'uomo. I verdi non danno più all'uomo questa fiducia e preferiscono sacrificarlo ad una natura deificata bloccando il progresso antropico. Va ripristinata l'Alleanza originaria e, con essa, l'eco-ottimismo: l'uomo ha le risorse per tutelare con il progresso (il sudore) la vita che Dio gli ha affidato. L'ecologia deve diventare un pensiero "forte" e non "debole" ritrovando il suo nesso con la Missione.

Ed infatti si vedono i primi passi evolutivi dall'ecologia irrazionale (neopagana) a quella razionale (dell'Alleanza). E' il momento di capire a fondo la questione per sconfiggere definitivamente la prima e favorire la nascita della seconda. Ma va intuito che non é questione solo politica e tecnica, ma soprattuto religiosa, profondissima. L'Occidente si basa sulla cultura del progresso. Ma questa ha fondamento nella missione terrena della cristianità: crescete e moltiplicatevi. Nel pianeta, l'universo.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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