E' stata sin qui troppo blanda la reazione delle fonti di opinione pubblica e del governo all'atto di avvelenamento dimostrativo di due panettoni da parte degli ecoterroristi. Ho sentito con le mie orecchie sia giovani che maturi signori di classe media esprimere certa simpatia per l'azione di avvelenamento a presunta difesa dei diritti degli animali. I commenti giornalistici, pur sensati, non sono sembrati cogliere il problema di prevenzione per un fenomeno nascente che, se non messo controllo dall'inizio, potrà creare guai peggiori nel futuro. Il governo ha reagito in modo normale come se l'evento fosse uno dei tanti incidenti. Questo non vuol dire che le forze di polizia non stiano indagando. Certamente lo fanno e bene. Ma la legge non ha ancora inquadrato con la dovuta precisione ed intensità preventiva e repressiva il fenomeno dell'ecoterrorismo. Poco più che ragazzacci. Il ministro Ronchi, un verde, ha certamente detto che gli animalisti estremisti "meriterebbero 40 anni di galera (poteva dire l'"ergastolo" e faceva prima). Ma queste parole servono solo a distinguere un verdismo moderato da quello estremo, senza tanta convinzione. Infatti altre dichiarazioni da parte di componenti di quel movimento sono state molto più ambigue, alcune - di fatto- quasi complici. Infatti l'ecoterrorismo é solo una variante più romantica del sabotaggio che i verdi istituzionali compiono quotidianiamente bloccando qualsiasi azione di evoluzione tecnica (strade, biotecnologie utili in medicina, la difesa antimaree della laguna di Venezia). In particolare, il governo non ha colto in questo esempio di ecoterrorismo dimostrativo alcun motivo per rafforzare la capacità dello Stato nel tenere sotto controllo i potenziali di sabotaggio industriale, probabilmente crescenti nel futuro.
Questi saranno crescenti nel futuro. Da una aparte, il sistema economico e produttivo globale é immensamente vulnerabile ai sabotaggi. Il farli costa pochissimo, mentre i danni prodotti possono essere enormi. Dall'altra, stanno aumentando le organizzazioni antisistema che prevedono il ricorso all'ecosabotaggio. Finora la lotta contro il capitalismo é stata condotta da una sinistra che non voleva, tuttavia, rinunciare al progresso tecnico. Desiderava e vuole "solo" piegarlo ad una idea collettivistica. Per esempio, la sinistra chiude le fabbriche perché impone loro un modello sbagliato che le soffoca, ma non ha intenzione di cancellarle veramente. Infatti liberismo e socialismo, pur in lotta feroce ed incompatibili tra loro, sono due teorie cugine del progresso. E questo mai é stato messo in dubbio. Ma da un paio di decenni si sta affermando un nuovo tipo di lotta al capitalismo. Movimenti che negano il concetto stesso di progresso tecnico. Chi si sente espulso dal ciclo capitalistico, o rifiuta per paura il suo gioco competitivo che mette alla prova duramente le capacità personali e le seleziona, va sempre di meno a sinistra e sempre di più nelle organizzazioni che vogliono abbattere alla radice il sistema basato su denaro e tecnologia. A questo fenomeno ne va aggiunto un altro. E' tipico nelle società ricche che i figli diventino più pigri dei padri che le hanno costruite. La combinazione tra istruzione e pigrizia sociale produce due effetti: (a) persone antisistema con i mezzi tecnici ed intellettuali per attuare sabotaggi sofisticati; (b) capacità di produrre ideologie antisistema molto raffinate. L'evoluzione di queste é favorita, inoltre, dalla preoccupante perdita di forza sociologica del codice cristiano che mette l'uomo al centro delle cose. Il risultato é il seguente. La lotta contro il progresso capitalitico viene sempre di più svolta attraverso strategie simboliche che hanno la forza di "nuove religioni". Per esempio, l'"ecofemminismo" unisce il concetto di sfruttamento della donna come individuo singolo da parte del maschio e del sistema produttivo all'idea della "Madre terra". Difendere la seconda contro il progresso che la vuole trasformare é un atto di liberazione della prima. Allo stesso modo, difendere la naturalità dell'animale contro le manipolazioni biotecnologiche da parte di chi lo vuole solo risorsa alimentare é semplicemente una scusa per aggredire in modo sofisticato il capitalismo (l'animale, in realtà non c'entra per nulla). E, a cappello, c'é l'idea che l'uomo non debba essere più al centro delle cose. Se vi restasse é ovvio che il lavoro, e quindi il sistema del progresso che crea il lavoro stesso, sarebbe un paradigma non modificabile. Buttare l'uomo ai margini significa poter costruire una religione che demonizzi il progresso e, alla fine, il capitalismo. Questa é la strategia in corso, molto avanzata in America e in Germania, appena agli inizi in Italia. E sarà uno dei maggiori pericoli globali nei prossimi decenni perché avrà la forza di una religione.
Il problema é grosso. Tanto da meritare una lotta culturale contro il neopaganesimo ambientalista ed antiprogressista già adesso, preventivamente. E questa mobilitazione morale é il solo mezzo per ridurre gli atti ecoterroristici. L'unico modo per gestire il problema é che la società nella sua stragrande maggioranza renda conspevolmente assoluto il dissenso contro quell'ambientalismo che fa da cavallo di Troia per i guerriglieri anticapitalisti ed antiprogressisiti. Il mezzo per innescare il dibattito, enfatizzato in questo articolo, é quello di ricordare a tutti noi che la nostra civiltà si fonda sul principio dell'uomo al centro dell'universo. E funziona.