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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1998-3-17il Giornale

1998-3-17

17/3/1998

L'Italia rimetta i piedi nello stivale (e anche un po' di cervello)

La politica del governo nei confronti del meridione sta replicando con ostinazione i vecchi errori. Tra questi il più noto e di fondo é quello di cercare la stimolazione dello sviluppo attraverso forme di "agenzia" e di assistenzialismo dissipativo. Non hanno mai funzionato in alcuna parte del mondo e continueranno a non funzionare nel meridione. Ma ci sono altri errori meno noti, altrettanto devastanti: (a) considerare omogeneo un meridione che, al contrario, é composto da tanti "sud" ognuno diverso dall'altro, ciascuno da trattarsi con una politica diversa: (b) non voler o poter usare la politica estera per generare una situazione geoconomica più favorevole allo sviluppo delle aree meridionali, penalizzate dalla periferizzazione dovuta al "congelamento" del sistema mediterraneo. Esplicitiamoli per cercare di correggere almeno questi visto che il primo e notissimo pare inevitabile a causa dell'attuale dominanza politica della sinistra.

A) Va rifatta la mappa dei sud (e in molti si vedrà meglio il tesoro).

Ci sono dei sud dove il capitale privato non va perché manca la sicurezza di base. Ma sono solo tre: Napoli e dintorni, Calabria occidentale e Sicilia. Per queste aree pare ovvia la priorità della bonifica anticrimanale con mezzi di eccezione che si sostituiscano provvisoriamente a quelli di legalità ordinaria. Ogni ritardo in merito é insensato. Così come é insensato erogare i soldi attraverso istituzioni locali contaminate proprio dalla criminalità che si vuole estirpare. In queste aree la bonifica va attuata anche con una sostituzione totale, pur temporanea, delle potestà politiche locali. A questi tre sud serve una fase di centralismo pesante e bonificante da parte dello Stato.

Ma gli altri sud hanno diverse priorità e situazioni. Per esempio, il capitale privato (a parte un decente, ma insufficiente, turismo) non va in Sardegna perché é un'isola remota. E la cosa non si risolve creando industrie assistite. Lo si fa, invece, generando un'attrazione irresistibile per gli investimenti ed insediamenti. E questa può essere solo il fare della Sardegna un "off-shore" o, per lo meno, un'area a "zero tasse" per le attività produttive. Qualsiasi politica per l'isola che non punti a questa concorrenzialità del territorio é semplicemente una presa in giro (lo stesso vale per la Sicilia, ma solo dopo la bonifica).

Altri sud, per esempio la Puglia, sono già pronti al decollo industriale, ma non lo ottengono perché il sistema locale non é connesso efficientemente con i mercati di sfogo. Qui la priorità é usare il capitale pubblico per fare superstrade, supertraghetti, superaeroporti, ecc. E questa megainfrastrutturazione trainerà in seguito gli altri sud meno pronti, adesso, al salto industriale.

Questo messaggio, comunque, più che a Roma é diretto ai politici ed élite locali dei diversi sud che non hanno problemi di criminalità di massa. Per gestire meglio i loro stessi interessi conviene loro contrastare l'approccio di politica unica per il meridione e chiedere sia interventi differenziati per area sia concentrazioni di investimenti veramente utili per tutti i sud stessi, specialmente sul piano delle infrastrutture. E non si capisce perché non stiano facendo questo. Lo spieghino.

B) Più di diretta responsabilità tecnica ed esclusiva dello Stato centrale é il fare una politica estera utile al rilancio dei sud. E non ci siamo. Per esempio, l'Italia ha accettato l'imposizione europea di non fare off-shore o zone di defiscalizzazione estrema. E' una rinuncia che penalizza proprio le zone meridionali (e Trieste). Come faccio ad incentivare il capitale privato ad andare nelle isole o in zone remote? Con il paradosso che l'Italia non ha perseguito questo suo interesse nazionale lasciando, danno e beffa, che il Lussemburgo diventasse un off-shore, che l'Irlanda o il Galles potessero limitare la fiscalità per le imprese fino al 10% oltre. Mi pare sacrosanta la necessità di una revisione degli accordi europei in merito ed una imputazione di inconsistenza ai governi, attuale e passati, che non hanno agito in tal senso.

Un altro capitolo assurdo é la mancata difesa degli interessi agricoli dei sud sul piano della politica europea. Ed é suicida. Molti sud hanno una vocazione per produzioni agro-alimentari di alta qualità da difendersi con marchio esclusivo. Niente. L'Italia non solo non ha una politica di tutela al riguardo, ma ha perfino ceduto quote di mercato a favore di altri. Commentate voi.

In termini di scenario più ampio, infine, é vistosa l'assenza di una politica italiana "forte" per abbattere il "muro del Mediterraneo" e riaprire almeno parzialmente l'area ai commerci in modo da esaltare la centralità geo-economica di fatto dei sud in questo bacino e ridurne, così, la periferizzazione. L'Italia é isolata su questo punto anche perché i tedeschi vogliono sfilarsi da sud e puntare ad est. Ed é un problema. Ma non tale da precludere altre alleanze e strategie per costruire un sistema mediterraneo che ci sia utile. Non é scusabile la passività del governo in questa materia.

Cervello e piedi. Il primo, francamente, dovrebbe essere usato di più per praticare le cose dette, di lapalissiano buon senso. I secondi vanno rimessi nello stivale dopo che li abbiamo tolti, come provincialotti, per entrare nel salotto europeo timorosi di sporcare il tappeto.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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