Giovedì scorso il Fondo monetario internazionale ha rilasciato uno scenario (outlook) pessimistico sulle prospettive dell’economia americana per il 2001: il caso migliore vedeva una crescita modestissima dell’1,5%, quello peggiore perfino una crisi recessiva pesante e duratura. Tale crisi della locomotiva americana, non sostituita da altre, lasciava presagire un pesante arresto, forse deragliamento, del convoglio globale. Ma venerdì è uscito il dato reale sulla crescita del Pil statunitense nel primo trimestre 2001: più 2%, annualizzato. Che ha sorpreso tutti perché ci si aspettava un andamento di gran lunga peggiore. Questi due dati contrastanti pongono una domanda precisa: la crescita americana è ancora sospinta dal motore economico del passato che sta rallentando oppure sta già ricominciando a rimbalzare dopo la caduta del Pil nel secondo semestre del 2000? In sostanza, siamo all’inizio o alla fine del tunnel?
Gli analisti del Fmi, coordinati da Michael Mussa, insistono sulla tendenza discendente dell’economia americana e globale. All’accusa di troppo pessimismo rispondono che “non siamo ancora usciti dal tunnel”. In generale, non hanno tutti i torti: i dati correnti mostrano il rallentamento dell’economia globale. Anche se l’America cresce del 2% tendenziale, questo è la metà del suo potenziale teorico che è stimato attorno al 4%, soglia sotto la quale l’aumento del Pil non produrrebbe inflazione. Il Giappone sta viaggiando - è un dato da confermare – attorno allo 0,6% tendenziale, di fatto stagnazione. In Europa le previsioni di crescita del Pil per l’anno in corso sono state riviste al ribasso, da sopra il 3% ad inizio anno al 2 poco tempo fa. Per la Germania si teme un risultato peggiore, poco sopra l’1%, perché è il paese dell’eurozona che dipende comparativamente di più dalle esportazioni verso l’America. Il rallentamento di questa la penalizza e, di conseguenza, comprime l’espansione di tutta l’area continentale che ha nell’economia tedesca il motore principale anche se il capo economista della Bce, Otmar Issing, ritiene che l’impatto in Europa della contrazione americana sarà molto minore. Nel resto del mondo questi numeri calanti mettono in difficoltà le economie emergenti – con l’eccezione, forse, della Cina – perché si riduce il loro potenziale di esportazione a fronte di poca capacità di sostituirlo con la crescita interna. In particolare, aggravano le crisi di instabilità che hanno colpito Argentina, Turchia, Indonesia ed altri, rendendoli possibili focolai di contagio per un’economia globale indebolita. Nei dati, in effetti, questa brutta tendenza c’è.
Ma la questione riguarda, prima di tutto, l’America ed il suo effetto locomotiva sul resto del mondo. La crescita del 2% tendenziale, nel primo trimestre è stata generata, principalmente, dal fatto che la domanda dei consumatori è aumentata del 3,4%. Durerà? Per esempio, gli acquisti sono rimasti sostenuti perché l’offerta ha praticato sconti formidabili: gli eccessi di auto, ed altri beni, in magazzino sono stati smaltiti con svendite. Quindi il sistema ha tenuto perché le aziende hanno rinunciato a parte dei profitti. Non può essere durevole in questo modo. Nei prossimi mesi ci sarà l’impatto dei licenziamenti che stanno aumentando in quanto le aziende si stanno riaggiustando alle prospettive di una domanda minore. E se la Borsa non tornerà a dare guadagni alle famiglie i consumi ne risentiranno. Ciò fa dire che siamo ancora nel tunnel.
D’altra parte, le aziende hanno finito di riaggiustare le loro scorte e, tra poco, ricominceranno a comprare per ricostituirle. La riduzione dei tassi monetari sta rialzando le Borse. Entro un paio di settimane ci si aspetta il varo dei tagli fiscali che daranno più capacità di spesa alle famiglie. Questi ed altri dati indicano che non si è neppure nel buio del tunnel.
Dove siamo, allora? In una situazione dove il fatto principale è che l’economia americana sta reagendo con molta velocità all’andamento discendente. Questo deve ancora sfogarsi del tutto, ma le misure di rilancio cominciano a dare effetti. Quindi la tendenza più probabile, come qui sostenuto più volte in precedenza negli aggiornamenti continui dello scenario, è che nei due prossimi trimestri si incrocino tendenze recessive ancora da sfogarsi e di rimbalzo, con le seconde man mano prevalenti. E nel quarto trimestre tutta l’economia americana dovrebbe tornare omogeneamente in buona ripresa. E all’inizio o metà del 2002 riprendere a trainare la crescita nel resto del mondo. Questa previsione si basa su due osservazioni, ben rilevabili nei fatti attuali: (a) chi governa l’economia americana e chi vi opera è velocissimo nel reagire alle situazioni; (b) comunque il rallentamento non pare aver colpito il motore di base della crescita statunitense. Di converso, lo scenario potrebbe virare verso una recessione americana e globale pesante e duratura se qualcosa impedisse la velocità detta o se emergesse un grippaggio del motore economico di fondo. Tali eventi non sono escludibili: l’autorità monetaria potrebbe sbagliare nel ridurre troppo o troppo poco i tassi; la crisi corrente del settore tecnologico potrebbe risultare più grave. Ma sono un caso peggiore la cui probabilità è, francamente, minima. In conclusione, siamo ancora nel tunnel, ma verso la fine dove si comincia a vedere la luce.