ENGLISH VERSION


Dati personali
Pubblicazioni
Articoli
CAP TV
Interviste
Voci dei lettori

 CERCA


Carlo A. Pelanda
X  

MENU   VITA   ARTICOLI   INTERVISTE
fb Tw print

Carlo Pelanda: 1997-1-2il Giornale

1997-1-2

2/1/1997

Dentro l’Europa, ma fuori dalla ricchezza

Riprendo ed espando la lettera del sindaco di Trieste, Illy, dove si avvertiva Prodi che o le cose cambiano o le industrie se ne vanno. Nella nuova economia globale lo Stato nazionale ha una missione molto precisa: attrarre capitale sul suo territorio. Il capitale vola liberamente nel mondo. Atterra dove frutta di più e si riproduce meglio. I territori che non sono competitivi non riceveranno capitale da fuori e perderanno quello interno (finanziario e umano). Pur semplificata, questa é la realtà. Già adesso le cose funzionano così, tra pochi anni questa verità selezionerà in modo molto più brutale gli Stati "in" e quelli "out". Nei secondi sarà deindustrializzazione e quindi povertà, decadenza ed emigrazione dei cittadini più attivi. L'Italia, in queste condizioni, é destinata ad essere "out". Sgombriamo il campo dall'illusione che il poter essere "in" nell'Europa monetaria eviti l'"out" nelle prossime olimpiadi globali della ricchezza.

La moneta unica aumenterà la competitività tra nazioni. A parità monetaria, il capitale andrà in quei Paesi che offrirano istituzioni politiche credibili, meno tasse, più flessibilità del mercato del lavoro, regole e sistemi legali certi e semplici, ottime infrastrutture logistiche, alta sicurezza criminale, sanità affidabile, banche efficienti, territori istruiti (buone scuole e ottime università per il rifornimento intellettuale e tecnologico delle imprese), modernità urbanistica, estetica, clima e costo della vita. In questo scenario l'Italia é competitiva solo per estetica (residua, per altro) del territorio e clima. Ditemi voi chi verrà ad investire in Italia e quante imprese resteranno? Nessuno e poche. Quindi siamo sullo scivolo della deindustrializzazione anche nel caso si faccia l'unione monetaria (non certissimo) e che l'Italia ne faccia parte (solo dopo 3-5 anni di purgatorio ed il consolidamento del debito, come minimo). Per esempio, Kohl sta impostando una riforma fiscale da varare nel 1998 che punta al quasi dimezzamento -in prospettiva- delle tasse attuali. E non lo fa solo per motivi elettorali (scambiare la rinuncia al marco in cambio di meno tasse per i ceti medi). Lo fa sulla spinta degli strateghi dello Stato nazionale tedesco che vogliono rendere il più attrattivo possibile nel futuro il territorio per i capitali e le industrie europee, svuotando gli altri. Non credo gli riesca in pieno. Ma in ogni caso la tendenza é questa. E non pensate neanche per un attimo che prima di fare l'unione monetaria si portino a pari i sistemi fiscali. Ognuno per se e tutti a predare l'Italia che ha ottime industrie e uno Stato che NON ne difende la competitività. E chi é più competitivo per tasse ed altri fattori organizzativi fregherà gli altri per il prossimo secolo portandogli via i soldi, le industrie e la gente più attiva. La realtà é che questo disegno europeo esalta la competitività tra nazioni invece di equilibrarla. Forse vi sembrerà un paradosso, ma la costruzione dell'Europa implica per noi una veloce ed urgente ricostruzione competitiva dello Stato nazionale.

Solo che in Italia il requisito di "ri-nazionalizzazione competitiva" é stato capito da pochi e questi pochi lo hanno distorto. Bertinotti capisce bene la nuova competitività globale. Ma vuole risolverla creando un'Italia autarchica e protezionista che elevi una diga contro l'ondata del turbocapitalismo. Ma é un puro suicidio e non merita commenti. Anche Bossi ha ben colto la questione. Ma pensa di risolverla creando lo Stato nazionale padano ipercompetitivo. In parte lo sarebbe per maggiore efficienza complessiva, ma la nuova entità sarebbe geo-economicamente troppo piccola per restare sovrana. E senza asovranità non c'é ricchezza. Inoltre le modalità delle secessione darebbero un vantaggio ai competitori esterni. Diagnosi giuste, terapie sbagliate. I post-comunisti, poi, non fanno neanche la diagnosi perché non rappresentano più gli interessi di chi produce (gli operai). Fanno gli interessi dell'Italia "civica" (definizione di Reichlin). Che cavolo é? Ve l'ha detto D'Alema in televisione. Basta con l'ossessione dei soldi e facciamoci una vita tranquilla: messaggio per impiegati sottopagati, insegnanti frustrati, giovanotti timidi perché mal istruiti e pensionati. Unite questi ai cattolici (di sinistra) per cui i soldi vengono creati con i miracoli e avete l'Italia civica. Fuori dalla realtà e dalla storia. Il Polo ha espresso l'idea di riforma competitiva dello Stato, ma non ha un progetto forte allo stesso tempo liberale e nazionale di costruzione dello Stato competitivo. Non vedo circolare, infatti, bozze del nuovo Stato, scenari di transizione da quello vecchio a quello nuovo, progetti forti. In sintesi, la politica nel suo complesso non sembra in grado di reagire con la velocità e qualità necessarie ad un emergenza che potrebbe diventare valanga devastante in pochi anni se non corretta a partire dal 1997.

E il popolo produttivo lo sa. Qualcuno lo esprime semplificandolo con il pessimismo. Altri cercano soluzioni. Ma queste si scontrano con la sensazione che la politica che c'é non sarà in grado di cambiare in tempo le cose. C'é un tappo. A questo punto direi di agitare il buon spumante italiano, ancora frizzante nonostante la crisi competitiva, e farlo saltare. Come si stappa e si brinda ad un 97 e 98 risolutivi? Basta una cosa e questa potrà dare conseguenze sorprendenti. Nelle case, nelle fabbriche, nei bar, riscoprire di essere italiani. Donarsi reciprocamente una nuova identità nazionale, competitiva. L'idea di una nazione che vuole ottenere il primato nel mondo per ricchezza, cultura e qualità delle istituzioni. Non é poi così difficile. Il rischio di povertà é per tutti. Quindi il nuovo confine politico non é tra destra e sinistra, ma tra passato e futuro, tra chi difende il vecchio Stato e chi vuole costruire quello nuovo. La rivoluzione non si fa in un giorno. Ma se milioni di italiani ricominciano a parlare di Italia, figli e interessi comuni, basteranno pochi mesi per attuarla e bene. Buon anno bandiere e tute blu.

(c) 1997 Carlo Pelanda
FB TW

(c) 1999 Carlo Pelanda
Contacts: letters@carlopelanda.com
website by: Filippo Brunelli
Privacy policies
X
La tua privacy è importante
Utilizziamo, senza il tuo consenso, SOLO cookies necessari alla elaborazione di analisi statistiche e tecnici per l'utilizzo del sito. Chiudendo il Cookie Banner, mediante il simbolo "X" o negando il consenso, continuerai a navigare in assenza di cookie di profilazione. More info

Tutti Cookie tecnici Cookie analitici di terze parti

Accetto Chudi