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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1997-4-21il Giornale

1997-4-21

21/4/1997

Il vento e la pietra

Penso tocchi a me rendere omaggio ad una memoria. L'astrazione è nel vento, la Bora. La concretezza della storia é nella roccia carsica, ma precipitata nei suoi buchi, le foibe, sopra Trieste. In mezzo al vento ed alla pietra l'emozione di uomini nel ricordo del genocidio di altri. Come una grande gru il New York Times, qualche giorno fa, ha estratto 20mila cadaveri di triestini, istriani e croati gettati nelle foibe dai titini nel 1945. Adesso il mondo finalmente lo sa e la congiura del silenzio pilotata dai comunisti é svelata e non può più restare chiusa nel bunker italiano. Sono decenni che qualcuno tanta di far riemergere la verità ed ottenere giustizia: bravi giudici, testimoni del tempo, associazioni. Ma i comunisti ed i loro complici nelle istituzioni e nel sistema che produce la cultura e storia ufficiali in Italia hanno sempre soffocato la verità. Tuttavia la Bora é andata oltre ed ha chiesto aiuto agli altri venti del mondo. E grazie a questo l'astrazione si é fatta più forte della pietra: il sentimento di chi mai ha smesso di ricordare finalmente può volare su di noi imponendoci non solo la memoria, ma sopratutto la giustizia. Chi ha buttato quegli innocenti nelle foibe - vera e propria pulizia etnica/ideologica - deve essere condannato, senza perdono, se ancora vivo. Segnalato come assassino alla storia, se morto. I comunisti di oggi, avendo voluto continuare la complicità di quelli di ieri, devono pagare politicamente, culturalmente, moralmente. Devono morire di vergogna.

L'omaggio che mi compete riguarda un piccolo evento, ma grandissimo come presidio morale del senso di umanità e giustizia. Avevo poco più di 11 anni, nei primi anni 60. Ero giovane atleta della Società Ginnastica Triestina (SGT). Un giorno il Prof. Bertoldi, istruttore, mi disse di indossare la tenuta da cerimonia - "i calzettoni giusti"- mi raccomandò severo. Nella piccola seicento blu eravamo in cinque, pressati, le bandiere della società, le medaglie, il grande tricolore. Non c'era neanche spazio per muovere un dito. Il motore faticava nella salita verso Basovizza, la giornata era plumbea. Ero bambino e mi stavo scocciando. Quando arrivammo di fronte ad un enorme lastrone di cemento che copriva la foiba tutti si disposero per un rito, le diverse generazioni di ginnasti sull'attenti. Io non capivo bene. Distratto, guardavo con invidia il mio collega più anziano - Carlo anch'esso- perché già poteva indossare i calzoni lunghi bianchi del ginnasta maturo. Io, cucciolo, mi vergognavo di quelli corti. Ma questi mi diede una pacca in testa e mi sibilò di restare sull'attenti. Fu silenzio per dieci minuti. Chiesi a Bertoldi cosa stavamo facendo. Me lo spiegò. La Società ogni anno rendeva omaggio alla memoria dei suoi soci trucidati nel 1945. "Ma perché siamo solo noi a farlo"? Mi diede una carezza e borbottò che quando sarei stato più grande avrei capito. Volevo insistere, ma gli vidi le lacrime agli occhi, gli altri con lo sguardo rivolto al vuoto. Il giorno prima, a scuola, si era parlato di "astrazione". Timidamente azzardai: "é un'astrazione"? Bertoldi, un po' sorpreso, mi squadrò un attimo, e mi fece: "sì, ma é più solida della pietra, ricordatelo per il tuo carattere quando sarai cresciuto". Poi gli adulti si raccolsero per pregare, un minuto. Si alzò di colpo il vento, le nubi si mossero ed il sole sparò raggi di luce come riflettori: uno spettacolo. Riscendendo con la seicento da Basovizza, il golfo di Trieste si spalancò, dall'alto, ai miei occhi, la Bora, il movimento, la luce. Ebbi i brividi - per quello mi ricordo bene quel giorno- e mi sognai sui mari, il mondo. E dopo pochi anni veramente ci andai, il presente più eccitante della memoria. Ma essa torna spinta dallo stesso vento ora che sono uomo maturo. E finalmente ho capito perché l'astrazione é più dura della pietra: il carattere dell'uomo che non molla mai, la forza morale di essere nel giusto, la perseveranza anche contro tutti. Questa memoria va a chi mi ha formato come uomo forte, ritorna a me come dovere di testimoniare dopo tanti anni il senso morale di chi mai, pur solo e isolato, ha smesso di ricordare, mai di presidiare la speranza della giustizia. Trieste mia.

(c) 1997 Carlo Pelanda
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