L’eurozona non sta andando bene, per tre motivi principali: (a) la crescita economica ristagna e risente più del previsto (fenomeno per altro qui già anticipato ed argomentato fin dal gennaio scorso) del rallentamento della locomotiva globale americana; (b) l’euro resta intrappolato in una crisi di credibilità e la depressione del suo valore di cambio in relazione al dollaro non favorisce la salute del circuito finanziario europeo e l’attrazione di investimenti, (c) la costruzione delle istituzioni politiche europee è diventata un processo confuso senza alcun orizzonte chiaro e definito. Molti lettori cominciano a preoccuparsi di questa situazione e a chiedersi quando finirà, a quali condizioni. Cerchiamo di rispondere.
Una via realistica per farlo è quella di individuare quale malanno strutturale europeo potrà guarire per primo. Vediamo il problema istituzionale. Questo, semplificando, riguarda il fallimento dell’intento strategico legato alla nascita dell’euro. La sua realizzazione è stata accelerata proprio perché Francia e Germania, prendendo atto dell’impossibilità politica di attuare prima l’unione politica e solo poi quella monetaria (come sarebbe stato sensato), hanno tentato di usare la seconda per rendere inevitabile la prima. Da una parte è vero che l’integrazione monetaria costringerà le nazioni europee a darsi istituzioni politiche comuni. Dall’altra, ciò non determina automaticamente un Superstato europeo integrato. La moneta unica può essere gestita anche da un accordo intergovernativo dove le singole nazioni si vincolano a rispettare uno standard di comportamento, ma mantenendo la loro piena sovranità senza conferirla ad istituzioni centralizzate. Infatti, attualmente l’Unione Europea è un miscuglio tra due diversi modelli in conflitto tra loro. Il primo, quello di Maastricht, prevede la progressiva formazione di uno Stato federale europeo; il secondo una sorta di alleanza peculiarmente vincolante tra nazioni che restino, tuttavia, “molto” sovrane. La Commissione ed il Parlamento europei sono organismi comunitari che anticipano il primo modello. Ma questo è andato in crisi perché le nazioni stanno sempre di più optando per il secondo. Il motivo è che nessuna se la sente di cedere la propria sovranità su temi geopolitici ed economici che ritiene importanti per la ricchezza ed il consenso interno. Ed è iniziata una silenziosa battaglia per indebolire la Commissione. Lo stesso intento ha lasciato il Parlamento europeo privo di poteri reali. D’altra parte nessuno se la sente di smontare eccessivamente le istituzioni comunitarie integrate per non rischiare una pericolosa de-europeizzazione. In sintesi, attualmente l’Unione Europea si regge sull’equilibrio pasticciato – e conflittuale - tra queste due tendenze. Probabilmente lo scenario porterà verso un modello “confederale leggero” (adombrato da un recente discorso del presidente della repubblica tedesca) di Europa delle nazioni che restano sovrane con alcune funzioni delegate ad una istituzione centrale, ma subordinata al tavolo intergovernativo. Sarà in ogni caso un processo lungo ed ambiguo per anni e lo scheletro dell’Europa resterà fragile.
Potrebbe guarire prima, invece, la malattia economica europea. Questa è dovuta al fatto che i 2/3 del Pil dell’eurozona è fatto da paesi guidati da governi di sinistra (Francia, Germania ed Italia) che mantengono irriformato un modello politico statalista e protezionista che soffoca la libertà del mercato ed il suo potenziale di crescita. L’euro è stato svalutato apposta per compensare con le esportazioni la difficoltà delle nazioni citate, soprattutto la Germania, di stimolare la crescita interna dei consumi e degli investimenti. Inoltre le mancate riforme fanno sì che ogni minima crescita produca inflazione sia per la poca concorrenza sia per la bassa produttività delle aziende, malanni tipici dei sistemi economici rigidi. Ciò costringe la Banca centrale europea, per altro incerta e disordinata di suo, a tenere più elevati del necessario i tassi monetari. In sintesi, è un sistema distorto per cause politiche. Ma queste potrebbero essere rimosse in breve tempo. Tra un mese l’Italia potrebbe essere guidata da un governo liberalizzante. La Spagna ci è già riuscita. Francia e Germania avranno elezioni il prossimo anno. Se vincesse dappertutto, o almeno in Italia e Germania (dove non è improbabile) una politica più favorevole al mercato, allora l’eurozona raddoppierà certemente il suo potenziale di crescita interna del Pil. L’euro, anche grazie alla sua trasformazione in moneta fisica all’inzio del 2002, potrà certamente godere di questa prospettiva e attrarre più capitali di investimento ora migranti verso il dollaro. In particolare, tale scenario di riforma economica strutturale dell’eurozona aumenterebbe la disponibilità del già molto liberalizzato – e per questo ostile al dirigismo di Bruxelles - Regno Unito ad entrare nell’euro. Questo è il vero evento politico che renderebbe l’Europa forte e credibile, indipendentemente dal compimento perfetto della sua architettura istituzionale.
In conclusione c’è una seria possibilità che un cambiamento politico non improbabile rimuova le cause di depressione economica corrente entro il 2003 e, improvvisamente, rinforzi l’eurozona. A tali condizioni, se si realizzano, possiamo essere eurottimisti.