Non c'è da scherzare. Il leone di San Marco torna a ruggire, le sue ali provano a muoversi dopo essere state ripiegate per due secoli. Va detto che l'azione (pseudo)armata dell'esercito della Serenissima potrebbe essere stata una provocazione utile a gettare discredito (spaventando i moderati) sull'autonomismo veneto. Ma è più probabile che si tratti della prima azione, francamente artigianale e quasi goliardica, di un vero e proprio movimento per l'indipendenza del Veneto. Non bisogna sottostimare il fenomeno. Quando qualche decina di persone prende le armi, vuol dire che sotto ribolle qualcosa. I veneti - e quei molti del Friuli e della Lombardia orientale che, oltre ad avere nella loro storia il leone alato, partecipano al medesimo sistema di imprenditoria di massa- rifiutano certamente il ricorso alla violenza. Sono terre di altissima civilità. Ma le loro genti sono sostanzialmente d'accordo con il progetto di autonomia e nell'animo sentono l'orgoglio neo-independentista di San Marco, potenza storica molto più forte, prestigiosa ed antica della recente e scassata Italia. Oppure, se non sentono il leone perché la tradizione del loro comune millenario è più forte, sarebbero pronti a riconoscere -provvisoriamente- San Marco come nuova bandiera che li liberi dai parassiti economici e dall'inefficienza oppressiva del modello statosocialista e centralistico italiano. Il sentimento di identità storica riemerge come risposta alla convinzione crescente che senza un'autonomia forte dal sistema italiano, precipitato nella voragine del passato, l'economia del Nordest non avrà futuro. Ed è l'incontestabile verità di questo fatto che rende concreto e strategico - e non solo folklore- l'independentismo veneto e, in generale, l'aspirazione all'autogoverno.
Anche nel migliore dei casi, la riforma dell'Italia non arriverà in tempo per sostenere il sistema industriale del Nordest. La sua prima fase di sviluppo è ormai terminata. Ha creato un territorio con la più alta densità al mondo di piccole industrie. Queste sono emerse grazie ad una cultura che mette l'impresa, la tenacia e l'attivismo al centro della vita. Tale predisposizione antropologica ha trovato, nel recente passato, tre fattori di impulso: (a) la spinta attivistica della povertà (il triveneto era poverissimo fino agli anni 60); (b) la struttura liberalizzata di fatto di un territorio dove le regole formali e remote erano sostituite da relazioni informali e locali (in pratica, lo Stato, e i sindacati a traino, non sono riusciti ad imporre la loro presenza soffocante); (c) la crescente domanda di sub-forniture dal mercato europeo a ridosso geografico (che ha istruito le imprese ad operare sempre a più vasto raggio nel mercato globale). Ma questo sistema, nella sua prima fase di crescita, si é basato su - per altro inevitabili- forme di "spontaneismo economico". Il Nordest é cresciuto al punto di poter competere nella nuova economia globale, ma, per riuscirci, deve passare alla "seconda fase di sviluppo". Le aziende sono sottocapitalizzate, poco managerializzate, basate su un territorio arretrato sul piano delle infrastrutture e dei servizi, soprattuto soffocate da regole statali assurde (Inps, fisco, burocrazia, incertezza legale). Non possono in alcun modo continuare a crescere senza un riforma totale: tasse minime, ma riutilizzate in loco per investimenti realmente modernizzanti, liberalizzazione e deregolamentazione completa. Appunto, non é credibile che nell'Italia statosocialista una tale riforma possa avvenire in tempo utile. Quindi diventare autonomi é una necessità per non morire.
Quale modello sarebbe il migliore per il Nordest? Dare esteri e difesa all'Italia, più qualcosa altro di tecnicamente necessario, e tutto il resto gestito in pieno autogoverno, il più delle tasse che restano a casa e diminuiscono al 20% massimo per i residenti. Modelli per analogia? Questo é ciò a cui tende, per esempio, la Catalogna (Barcellona). E ci sta riuscendo con intelligenza. Ma il Nordest potrebbe e dovrebbe fare di più. L'"autogoverno" non serve per secessioni conflittuali e irrazionali. E', nell'Europa dello statalismo e dell'impoverimento di massa da esso causato, l'unico strumento per anticipare la riforma liberista che permetta ai luoghi di essere competitivi nell'economia globale e di mantenere (o ricostruire) il capitalismo di massa. Suggerisco per il nuovo Nordest il nome di "Libera comunità mercantile delle Venezie". E potranno confederarsi come "nuove Venezie" tutte le terre che aspirano al liberismo contro lo statosocialismo. Sarebbe un onore ed un'utilità concreta che la Sicilia - di grande tradizioni e possibilità autonomiste- fosse la prima a federarsi con e nella "Libera comunità". Sarebbe un segno fortissimo che si apre la nuova era in Italia ed in Europa dei liberi e forti. Insieme, San Marco - e non dimenticare la mia amata, orgogliosa e capace Trieste- nel mondo, gli oceani.