Anche se il prezzo del petrolio potrà oscillare con periodi di ribasso, come in questi giorni, tuttavia la tendenza prospettica resta al rialzo per i noti motivi di incremento “strutturale” della domanda da parte dei Paesi emergenti. Inoltre i produttori stanno nazionalizzando le risorse e le impiegano sempre più per fini strategici. Ciò complica, in termini di vulnerabilità ai ricatti contro i Paesi consumatori, una situazione già storicamente instabile dove gas e petrolio sono prodotti in gran parte da Stati a regime autoritario ed instabili. Nel passato il sistema è stato equilibrato sia dal potere globale statunitense sia da un Opec incline al calcolo razionale costi/benefici, ovvero che moderava i prezzi per evitare che la conseguente recessione delle economie consumatrici li facesse poi crollare. Ma il potere statunitense non avrà più sufficienti forza ordinatrice, pur restando superpotenza. L’Opec ha perso le sue capacità calmieranti. Il complesso di queste condizioni tecniche e politiche ha generato un’impennata dei prezzi petroliferi dal 2005 in quantità e tempi che hanno superato la capacità di assorbimento delle economie consumatrici, squilibrandole pericolosamente per eccesso di inflazione da costo. Da questa esperienza gli Stati consumatori hanno appreso che, indipendentemente dall’oscillazione contingente dei prezzi, la dipendenza dal ciclo del petrolio fossile così configurato non potrà più essere tollerabile. E’ finita un’era e ne comincia un’altra. Ma nella seconda non c’è ancora una strategia precisa, nel senso che segue.
La strategia tradizionale di controllare il prezzo dell’energia attraverso accordi consumatori/produttori e pressioni geopolitiche ha uno spazio molto ridotto sul piano globale per l’assenza di un potere in grado di farlo. Tale opzione, infatti, è applicata solo a livelli regionali o bilaterali. Per esempio, la Germania dipenderà sempre più dal gas russo e nel 2006 Merkel si è riavvicinata all’America per ottenere più forza nel trovare un compromesso geopolitico con Mosca. L’Italia preme per l’inclusione della Russia nel sistema occidentale allo scopo di stabilizzare le sue fonti di rifornimento. La Cina fa accordi bilaterali di privilegio con singoli produttori. La via politica potrà attutire futuri shock, ma non risolvere il problema. Anzi lo complicherà per la competizione multipla e caotica finalizzata al dominio delle risorse, fenomeno già visibile nell’Artico. Per questo motivo gli Stati consumatori stanno puntando con massima priorità ad ottenere l’indipendenza energetica. La decisione è ormai presa, ma la strategia non è ancora precisata perché al momento si stanno tentando tutte le possibili vie tecnologiche, senza selettività. Da un lato ciò è comprensibile. Si lancino intanto nucleare, solare, idrogeno, eolico, energia da movimenti naturali e si estenda la ricerca per petrolio e gas in casa propria, qualsiasi mezzo per ridurre la dipendenza, poi si vedrà. Ma le energie definite alternative al petrolio in realtà sono solo “integrative” e non “sostitutive”. Il nucleare ha potenziale sostitutivo, ma in tempi lunghissimi. Poi, soprattutto, il passaggio da un’economia basata sugli idrocarburi ad altre fonti di energia non può essere fatto in tempi brevi. Quanto ci vorrebbe? Nonostante le migliaia di scenari in materia nessuno può dirlo con ragionevole approssimazione. L’unica cosa certa è che nella transizione dovranno convivere idrocarburi e lo sviluppo di nuove fonti, con la prevalenza dei primi per parecchi decenni. Se ciò è realistico, allora la strategia è quella di concentrare gli sforzi, una sorta di nuovo progetto Manhattan, per la produzione sia di idrocarburi sintetici da materiali organici, in particolare rifiuti, sia per il miglioramento dei biocomustibili, riducendone l’impatto inflazionistico nel settore alimentare e quello ambientale. La buona notizia, infatti, è che lo shock petrolifero ha stimolato l’emergere di nuove tecnologie capaci di trattare ogni materiale con dentro carbonio ed idrogeno forzandoli a prendere la formula di un idrocarburo artificiale (sintetico). Sono centinaia negli Usa, decine in Europa, in Italia già in lancio sul mercato soluzioni d’avanguardia. Ora si tratta di organizzare tale potenziale per accelerarne lo sviluppo chiarendo una strategia così titolabile: se il petrolio fossile è un problema facciamolo artificiale.