Da settembre la crisi ha cambiato natura e ritmo. Prima era una recessione globale a sviluppo lento, indotta dallo shock inflazionistico 2005 – 2008 (agosto) ed ancora non troppo accelerata dalla destabilizzazione del settore finanziario e bancario. Era difficile leggerla e valutarne gli sviluppi. Ora la crisi è chiarissima. La tendenza recessiva esistente ha incrociato, a settembre, l’esplosione di quella bancaria. Il riverbero tra le due ha fatto crollare il mercato interno statunitense che tipicamente regge la domanda globale. Questa è caduta a picco e sta producendo una recessione fulminea in tutte le nazioni del mondo, più pesante in quelle che dipendono molto dall’export e fanno poca crescita interna (Cina, Giappone, Germania, Italia). La crisi bancaria è in via di contenimento. Ma ora le banche, oltre che con il cambio di modello di affari del settore (definaziarizzazione), in America, Europa ed Asia devono fare i conti con il rischio di fallimenti crescenti delle imprese in difficoltà e di insolvenze dei privati. Ciò sta restringendo ulteriormente il credito ed è una fattore di accelerazione e peggioramento della crisi recessiva. In sintesi, siamo entrati in uno scenario globale di deflazione violentissima e rapidissima.
In tali tipi di crisi da deflazione rapida bisogna riflazionare con la massima velocità. Significa dare più soldi possibile ad imprese e famiglie affinché le prime possano resistere senza licenziare e le seconde mantenere i consumi. Cina, Germania, Giappone, Francia e Regno Unito hanno già stanziato montagne di miliardi di euri equivalenti per ottenere tale risultato. Quale il miglior modello di intervento d’emergenza? In generale, bisogna aprire tutti i cordoni della borsa, ma proprio tutti: detassazione, interventi di sostegno diretto ai settori in crisi, lavori pubblici, riduzione di costi tariffari, ecc. In particolare, ogni governo nazionale deve trovare il giusto mix di misure per la propria specificità. Quale lo è per l’Italia, che varerà a fine mese un pacchetto d’emergenza? Il problema che finora ha reso il governo restio nel mollare i cordoni della borsa riguarda l’impossibilità di aumentare il deficit per non creare sfiducia sul fatto che ripagheremo l’enorme debito cumulato. Comprensibile. Ma ora la caduta dell’economia è così forte e veloce da rendere assolutamente necessario un modello di intervento che sia tenga il limite del deficit sotto il 3% annuo sia trovi le risorse di riflazione più veloci entro la spesa disponibile che resta. Quale riflazione e quanta è necessaria da noi? Il modo più veloce per ridurre i costi delle imprese e dare soldi alle famiglie è quello di ridurre le tasse, tanto, in maniera secca e permanente. Subito. Purtroppo circolano idee non adeguate al tipo di crisi. Per esempio, detassare gli utili reinvestiti in una recessione che deprime gli utili è per lo meno bizzarro. Pensare che gli investimenti infrastrutturali siano una cura per una deflazione rapida è sbagliato in quanto il loro effetto benefico è tipicamente differito. Pensare a detassazioni una tantum delle tredicesime è inutile perché non si trasformerebbe in stimolo ai consumi. Inoltre la quantità che serve va calcolata non solo in relazione alla tenuta dell’economia nazionale nel 2009, ma anche considerando il rischio che la ripresa globale, nel 2010, non sarà così forte a causa della riparazione della locomotiva interna americana. Pertanto serve una detassazione strutturale che serva sia lo scopo di riflazione immediata sia per quello di fare più crescita interna nel futuro per compensare un export che, pur riprendendosi, potrebbe essere insufficiente. Quanto servirebbe? In teoria almeno 120 miliardi di detassazione. A quanto possiamo puntare, subito, senza sforare il deficit e riconvertendo spesa pubblica senza licenziare alcuno? Circa 30, subito. Si tratta di convertire almeno 15 miliardi ora destinati a trasferimenti diretti alle imprese e altri 16 stanziati per le infrastrutture – poi da rifinanziare via fondo europeo o simile - come riduzione generale del carico fiscale. Una detassazione permenente equivalente a 2 punti di Pil a imprese e famiglie, dando più beneficio alle meno abbienti, forse non è sufficiente, ma certamente sarebbe una fortissima misura di rilancio. L’Italia, poi, è eccezionale: con poco fa moltissimo e bisogna avere fiducia in questa nostra straordinaria comunità. Ma quel poco il governo lo faccia tutto e subito perché anche i miracoli hanno bisogno di capitale.