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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2015-1-20Il Foglio

2015-1-20

20/1/2015

Meglio riparare la vecchia normalità sviluppista che arrendersi alla nuova desviluppista

Il sistema che ha prodotto ricchezza di massa nei decenni scorsi ha bisogno di interventi. Ma basterà una manutenzione continuista o ci vorrà un rifacimento discontinuista? L’evento che ha configurato il sistema corrente è stato quello dello sganciamento delle monete dall’oro (agosto 1971) perché ha chiuso il ciclo storico del capitale scarso ed aperto quello del capitale abbondante. La tecnica finanziaria, poi, è riuscita a conciliare due opposti: possibilità illimitata di stampare moneta e controllo dell’inflazione. La combinazione tra democrazia e capitale abbondante (sufficientemente) stabile ha permesso di finanziare masse umane in quantità mai viste prima nella storia. Negli Anni ’80 le democrazie occidentali ed occidentalizzate raggiunsero la configurazione di 2/3 di ricchi ed 1/3 di poveri. Tale risultato può essere definito come realizzazione della seconda fase della rivoluzione democratica. Prima fase: trasferimento del potere politico dai pochi ai molti (1600 – 1900). Seconda, trasferimento dai pochi ai molti di ricchezza finanziarizzata (1900). L’uso, qui, di un descrittore per fasi storiche si basa sul riconoscimento di un “progetto democratico” con continuità storica, a partire dal 1600. Per inciso, l’evoluzione umana non ha una direzione, ma può averla temporaneamente ed ha evidenza il fatto che da secoli l’area occidentale segua una linea verso il capitalismo di massa entro quella, più generale, del progresso, questa dal 1400. Il motore del progresso può essere semplificato come relazione reciprocamente amplificante tra libertà, capitale e tecnica. La combinazione positiva tra questi tre fattori ha prodotto un modello di capitalismo democratico con maggioranza di ricchi. Ora si notano sintomi di regressione. Nelle analisi sta prevalendo l’idea che la regressione sia causata dalla fine, per rottura, del sistema e che si debba riconfigurarlo in modo meno ambizioso, definito come nuova normalità. La rubrica, invece, non vede una rottura del sistema, ma cedimenti solo in alcune sue parti: (a) sia nel ciclo politico sia in quello finanziario si osservano eccessi regolativi che restringono la libertà, riducendo l’impulso di questo fattore; (b) gli stati finanziano più gli apparati a scapito degli investimenti educativi, così non adeguando la crescita socialmente diffusa della competenza tecnica a quella dei potenziali tecnologici; (c) sempre più capitale è intermediato fiscalmente dagli stati e sempre più mostra impieghi improduttivi, depotenziando le capacità, intatte e crescenti, di alimentare la crescita con liquidità illimitata. Tali freni al progresso sono pesanti, ma correggibili. Inoltre, il cedimento sta avvenendo nei modelli politici e non sul piano del capitale finanziario e della tecnologia. Infatti il ciclo espansivo può essere riparato: (1) realizzando la terza fase della rivoluzione democratica come trasferimento dai pochi ai molti del potere cognitivo per ripristinare il traino tecnologico alla crescita economica senza inflazione e con capacità di piena occupazione, riallocando in tale direzione le risorse fiscali; (2) promuovere una rivoluzione liberalizzante nelle democrazie per trasferire più capitale dal fisco al mercato allo scopo di renderlo più produttivo; (3) integrare a livello globale le democrazie organizzandole in un mercato unico. In conclusione, poiché è possibile individuare manutenzioni continuiste del sistema, appare suicida il ritenere che sia finito senza prima tentarle, arrendendosi ad una nuova normalità desviluppista. La continuità del progresso implica l’affermazione dei conservatori, divertente.

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