Si apre una settimana borsistica dove l’attenzione principale riguarderà i titoli tecnologici, per lo più quotati sul Nasdaq e sui “nuovi mercati” delle Borse europee. La settimana scorsa ha visto la fine del minirimbalzo del settore, che a gennaio ha sfiorato (sul Nasdaq) un crescita del 15% dopo la caduta continua dall’aprile del 2000. Il mercato azionario europeo è strettamente connesso, psicologicamente, con quello americano. E tutti gli occhi, in preda all’incertezza, saranno puntati, nei prossimi giorni, ai dati di situazione che mostreranno meglio la realtà dello scenario.
In realtà, questi dati esistono già e sono ben chiari da almeno due mesi. La bolla 1999-2000, che ha fatto schizzare ad altezze inverosimili i valori azionari dei titoli relativi ai computer, semiconduttori, Internet e sue piattaforme tecnologiche, telecomunicazioni e media, non si è ancora sgonfiata del tutto. Permettetemi di semplificare in modo molto schematico. Uno dei parametri fondamentali per definire il valore borsistico di un’azienda è il rapporto tra il prezzo di un’azione e il profitto dell’impresa stessa. Nel febbraio del 2000 erano frequenti valori azionari che sopravvalutavano tale rapporto fino a 200 volte. Come se si scontassero nel presente duecento anni futuri di profitti attuali. Evidentemente il mercato pensava che i secondi sarebbero aumentati esponenzialmente nel tempo. Ma ciò avrebbe implicato crescite dei fatturati e degli utili a ritmi parossistici. Cosa che era la promessa della Nuova economia, ma non a tali livelli stellari. Infatti non è avvenuta o si è verificata, in concreto, solo in parte. Ad un certo punto, la realtà è tornata sulla scena e il comparto azionario ha cominciato a riassestarsi verso il basso Ora, dopo lo sgonfiamento parziale, la sopravalutazione si limita, per una certa parte di casi, a 100 volte, grossolanamente parlando equivalente ad un dimezzamento della capitalizzazione in Borsa del settore. Che comunque vuol dire scontare nel presente ben un secolo di profitti attuali: siamo ancora ben lontani dalle 20 volte che è considerato un riferimento standard. Quindi la situazione corrente è che molte aziende del settore tecnologico devono ancora rientrare verso un valore azionario più corrispondente alla realtà.
Il mercato ha tardato ad accettare questa prospettiva e ha tentato dei rimbalzi (minirally) prima che il settore avesse raggiunto un valore di pavimento. Per tre motivi: (a) non è facile risvegliarsi dopo il sogno e permane un forte residuo di volontà speculative nell’area dei titoli a rapida crescita nonostante questi non lo siano più; (b) il settore tecnologico, sul piano dell’economia reale, è in forte crescita, un vero e proprio boom globale di connessioni Internet e nuove offerte tecnologiche che sempre più velocemnte vengono recepite da un mondo industriale che si sta modernizzando grazie alla loro adozione; (c) si attendeva un rimbalzo a “V” (rapida caduta e ancora più rapida ricrescita) dell’economia americana nel secondo semestre del 2001. Come già anticipato su queste pagine qualche settimana fa, quando avvertivo, soprattutto, i piccoli investitori di non ascoltare le sirene del minirally, è il primo fattore che ha generato una sopravvalutazione del secondo e una visione troppo ottimistica del terzo, ombreggiando il trend di sgonfiamento necessario della bolla precedente.
Infatti i tentativi di rimbalzo finanziario troppo anticipato sono falliti. L’economia americana certamente si rialzerà, ma non è detto che lo farà così presto e con una crescita nuovamente stellare. Le aziende tecnologiche continueranno a fare profitti grazie all’espansione del settore nel mercato reale, ma non a ritmi tale da reggere valutazioni azionarie troppo moltiplicate. Bisogna anche considerare, per esempio, che in alcune aree del tecnologico, per esempio quella delle telecomunicazioni, molte aziende hanno dovuto investire molti soldi per finanziare le concessioni, tipo banda larga, ed il loro aumento della competitività in un ambiente molto denso di concorrenza. E ciò, anche indipendentemente dal ciclo, comprimerà per un certo tempo gli utili. Altre imprese, per esempio nel settore della rete, stanno modificando il modello di business per fare profitti su e con Internet: devono investire e, comunque, caricarsi di maggiori costi fissi. Anche qui, per un po’, l’utile ne soffrirà a causa degli investimenti di medio periodo utili a creare lo spazio per profitti futuri. Ma la maggioranza degli operatori del mercato non ha voluto digerire realisticamente tutti questi fattori, ben visibili da mesi, e ha tentato, appunto, un minirally fuori tempo e scenario. E adesso è deluso per eccesso di illusione.
Paradossalmente, ora il rischio è quello opposto: un eccesso di sfiducia verso il comparto tecnologico. Forse più pericoloso, perfino, di una bolla in quanto potrebbe deprimere la capitalizzazione di nuove imprese e quindi tagliare la testa alla Nuova economia ed alle sue promesse. Per evitarlo, spero, siano utile la seguente considerazione. In ogni caso, chi aveva investito in tecnologici nel 1999, avrà nel 2001, anche se gli indici scenderanno ancora o resteranno stagnanti, una resa – a tre anni – del capitale investito superiore a quella di qualsiasi altro settore azionario. Quelli che sono entrati nella fase terminale della bolla e sono rimasti bruciati, perdendo tra il 50 ed il 60% non hanno analizzato l’azzardo o si sono fatti consigliare da operatori impreparati. Ma è importante segnalare che, entro la logica standard delle valutazioni borsistiche, il comparto tecnologico rimane il più profittevole. E resterà tale, se uno capisce che ci vorranno dai 9 ai 14 mesi per riequilibrarlo e poi farlo ripartire su basi più solide.