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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2014-11-11Il Foglio

2014-11-11

11/11/2014

La nuova competizione tra imperi cinese ed americano per chi include di più

Il ritorno della storia (giochi di dominio) dopo 64 anni di sospensione per il monopolio globale della forza esercitato dalla Pax Americana (1944 – 2008) trova un’America cedente, ma ancora vogliosa di impero, ed una Cina emergente che vuole sostituirla. La voglia americana è stata rinforzata dalla conquista repubblicana del Congresso. Quella cinese da una recente revisione più attivista della strategia estroversa già in atto da tempo, anche spinta dalla necessità di dominare più risorse esterne per bilanciare gap interni di capacità. In sintesi, ambedue vogliono (ri)fare impero. Ma sono consapevoli che gli imperi costano. L’America ne ha esperienza diretta fin dai primi anni ’70 quando Kissinger tentò disperatamente di convincere Germania e Giappone a spendere di più per sostenere il costo dell’alleanza occidentale. Inutilmente. Ma dal 2001 al 2008 l’evidenza che l’America non poteva sostenere costi di impero globale fu bruciante e diretta. Le élite cinesi appresero la stessa lezione, ma indirettamente, studiando il rapporto Andropov del 1977 che mostrava l’insostenibilità dell’impero sovietico e suggeriva i modi per riformarlo. Infatti dal 1978 il Partito comunista cinese prese una direzione decisamente mercatista, di “capitalismo autoritario”. L’America ha già ingegnerizzato il modello di un nuovo impero a costi sostenibili: essere al centro di una vasta area di nazioni collegate da trattati di libero scambio, dove la centralità implica un vantaggio economico dovuto al “signoraggio geopolitico”, per esempio il dominio via dollaro. La Cina, e in piccolo la Russia, stanno rincorrendo l’America applicando il medesimo schema: essere al centro di mercati regionali, la Cina puntando al più grande per usarlo come strumento di influenza globale. La sceneggiata negoziale del 25° summit dell’Asia Pacific Economic Cooperation (Apec) sulle sponde del lago Yanqui nei pressi di Pechino va vista come un primo confronto diretto tra i due tentativi di impero. Perché Pechino ha voluto organizzare a casa propria l’evento, accettando il confronto diretto con l’America? Il motivo è che la Cina, in svantaggio strategico sull’America, ha però un vantaggio sistemico: Washington, per vincolo politico interno, vuole includere solo le democrazie nel nuovo reticolo di accordi economici, mentre Pechino è disposta a fare accordi con tutti. Il confronto è tra l’idea americana di TTIP (mercato integrato con la Ue) e di TTP (mercato delle democrazie asiatiche) con l’America stessa al centro e l’idea cinese di un sistema aperto a tutti con accordi a geometria variabile, decine i nomi dei tanti accordi con diversi perimetri geografici, tutti con al centro la Cina. L’idea di Pechino è di mettere in concorrenza il proprio modello con quello americano, sperando non tanto che Giappone ed Europa (nonché Australia, India, ecc.) preferiscano la finzione di un sistema aperto a tutti piuttosto che un mercato delle democrazie, ma che temano la reazione cinese in caso di rifiuto dell’adesione al modello inclusivo proposto da Pechino. In sintesi, l’idea di Pechino è più dissuasive che inclusiva. A corredo, Pechino sta cercando di diventare sempre meno dipendente dal dollaro, comprando euro per i pagamenti, allo scopo di predisporre la futura centralità dello yuan. Di fatto è già guerra. Infatti l’America tenterà di chiudere velocemente il TTP il TTIP. Ma è una guerra di nuovo tipo: nella nuova stagione degli “imperi condivisi” chi vuole fare impero deve includere con le buone e non con le cattive. Per questo, pur rimarchevole il tentativo, la Cina non ha chance.

(c) 2014 Carlo Pelanda
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