Da sempre il rubricante combatte l’idea che a fronte di limiti allo sviluppo il rimedio sia quello di ridurlo e sostiene che la miglior soluzione sia quella di rimuovere via nuove tecnologie, modifiche dell’ambiente e nuove visioni, i limiti stessi. Per questo la rubrica segnala con irritazione che recenti ipotesi di un aumento maggiore di quello finora previsto della popolazione del pianeta – 11 miliardi nel 2100 – stanno (ri)scatenando i “limitisti”: bisogna imporre subito nuovi controlli delle nascite. Se tali previsioni fossero verosimili, smentendo i calcoli demografici basati sull’osservazione, semplificando, che al crescere della ricchezza i gruppi umani tendono a ridurre la figliazione, la giusta reazione dovrebbe essere opposta. Per esempio: (a) accelerare le tecnologie di dissalazione e gestione efficiente dell’acqua per darla a più assetati; (b) con più acqua dolce disponibile rendere abitabili e bioproduttive le zone desertiche; (c) facilitare lo sviluppo rapido del cibo artificiale; (d) innovare la tecnologia delle costruzioni e delle infrastrutture per rendere vivibili e viabili megalopoli; (e) creare sistemi educativi basati sull’apprendimento remoto, allo scopo di rendere istruita una massa crescente di menti superando i limiti fisici ed organizzativi dell’insegnamento tradizionale ancorato ad aule fisiche; (f) megafonti di energia per muovere tutto questo. Tali soluzioni che espandono i limiti di gestione ambientale ed organizzativa di grandi masse antropiche sono possibili? Si osservi la rivoluzione tecnologica continua e si vedrà che lo sono. La progressiva artificializzazione del pianeta comporterà rischi imprevedibili, ma l’immaginarli non deve portare alla paura bensì alla continua riduzione di vulnerabilità degli ambienti costruiti. C’è un limite assoluto all’espansione umana su questo pianeta? Negli anni ’80 lo stimarono alcuni ricercatori dell’Istituto internazionale di analisi dei sistemi, Vienna: 250 miliardi di persone. La rubrica non crede che lo raggiungeremo perché ritiene più realistico l’autolimite riproduttivo in condizioni di benessere e considera la previsione di 11 miliardi nel 2100 come un eventuale picco anomalo, dovuto all’emergere dell’Africa e di altri luoghi con cultura riproduttiva pre-industriale, entro una tendenza prospettica di stagnazione. Ma bisogna essere comunque pronti ad allargare l’abitabilità del pianeta. In ogni caso, le stesse tecnologie porterebbero un miglioramento della vita di una popolazione minore. Torniamo sul limite dei 250. E se lo avvicinassimo tra qualche secolo? Parte dell’umanità andrà fuori dal pianeta, costruirà esohabitat, forse modificherà la forma umana per adattarla allo spazio extraterrestre. Non possiamo saperlo ora. Quello che possiamo fare ora è decidere se adattarsi ai limiti oppure cercare sempre un modo per superarli, fiduciosi. Scelta solo ideologica? No, anche logica: un sistema che cessa di espandersi ha più probabilità di degenerare di uno che si espande continuamente, mutando se stesso ed il suo ambiente. Inoltre, in un sistema in espansione è più probabile che la libertà individuale possa essere esercitata. In conclusione, la rubrica raccomanda una reazione futurizzante alle nuove ipotesi di incremento demografico nonché il rifiuto di mezzi autoritari per regolarlo. Nell’universo l’entropia negativa, la vita, è un’isola in un oceano di entropia, la morte. La fisica avverte che l’isola sarà sommersa, ma la capacità umana di creare fa sperare in un destino diverso. Per questo non arrendersi agli ecolimiti significa difendere la vita, missione antropica.