La rivoluzione dell’istruzione universitaria online – cioè attraverso corsi scaricabili ed interazioni docente/discente via internet - è in atto da più di un decennio. Ma ci voleva un articolo di L. Rafael Reif, Presidente del Mit, su Time, per legittimarla nel mondo accademico: “sono convinto che l’apprendimento digitale sia la più importante innovazione nel mondo dell’educazione dai tempi dell’invenzione della stampa”. Racconta Reif che un docente di fisica ha scoperto che i suoi studenti riescono a comprendere ed a utilizzare meglio un concetto studiandolo via corso online. Il rubricante, appena fu disponibile internet negli anni ’90, registrò e mise in rete le parti più difficili dei suoi corsi sui modelli sistemici, in America, anche perché stufo di doverle ripetere a studenti zucconi, pur candidati al dottorato di ricerca. Funzionò perché lo studente poteva rivedere più volte le spiegazioni, con comodità, e assorbirle meglio. I fatti confutano la tesi che l’insegnamento online sia di qualità inferiore a quello faccia-a-faccia, cioè “frontale”, ovviamente a condizioni di buona confezione dei corsi filmati e delle interazioni. Ciò rompe la barriera di ostilità contro l’insegnamento online: gli accademici contrari a questa innovazione, in America, erano ben il 42% fino a poco tempo fa, ora sono il 23%, in diminuzione. Significa che ora tutto il potenziale delle nuove tecnologie potrà fluire nell’apprendimento, rendendolo di massa e di qualità. Ma perché adesso e non, per dire, nel 2003 quando il potenziale tecnologico era già esistente, prova ne è l’università italiana (anche telematica) Guglielmo Marconi che fu, e resta, tra gli istituti di avanguardia mondiale nel settore? In America, ed in molte parti del mondo, i costi dell’istruzione universitaria tradizionale sono crescenti e sempre più insostenibili. Per evitare riduzioni di accesso al potere cognitivo sarà necessario offrire corsi on-line che costano molto meno. Anche le blasonate Harvard e Mit hanno intrapreso questo via. L’educazione online cambierà totalmente le università, dichiara, appunto, Reif. La rubrica non solo è d’accordo, ma aggiunge che il cambiamento sarà molto più diffuso: erogazione più fluida di master di metà carriera per utenti che lavorano; formazione continua a casa propria; estensione parziale anche alla scuola secondaria, lasciando più tempo libero (produttivo) agli studenti senza più costringerli a stare seduti in aule come prigioni; ecc. Il punto: se vogliamo un’economia basata sulla conoscenza – che promette crescita anche in tendenza demografica stagnante e senza inflazione grazie all’aumento della produttività via maggiore competenza di produttori e consumatori - dobbiamo avere un’educazione di massa ad altissima qualità. Ma non possiamo ottenerla con i sistemi di insegnamento tradizionali che implicherebbero centinaia di milioni di docenti per miliardi di discenti in milioni di luoghi fisici dedicati: infattibile. Tale rivoluzione, invece, diventa fattibile dando a miliardi di persone un accesso delocalizzato via rete a fonti di conoscenza, con costi minimi. Molto dovrà essere fatto per organizzare bene la nuova frontiera dell’apprendimento. In Italia andrebbe rifatto totalmente il sistema universitario e scolastico per non strozzare i potenziali qui detti. Ma la rivoluzione è accesa. La ricerca? Come sempre e di più perché meno in conflitto con i tempi dedicati all’insegnamento. Aiutate questo cambiamento canticchiando The Wall (Pink Floyd, 1979): finalmente il muro del burocratismo cognitivo è crollato.