La rubrica gongola perché l’anno scorso ha previsto una ripresa della crescita americana più forte di quanto gli scenari prevalenti proiettavano, ora confermata. Questa ipotesi si basava su due osservazioni: (a) l’Amministrazione Bush, in fine mandato nel 2008, aveva fatto la mossa giusta per accorciare la crisi, cioè ricapitalizzare in modi diretti ed indiretti le banche per ripristinare il flusso sanguigno nel corpo dell’economia; (b) la Fed non mostrava alcun timore nel ricorrere a strumenti inflazionistici estremi per pompare la ripresa. E’ stato facile prevedere che in tali condizioni e in un mercato efficiente la ripresa sarebbe stata di forza moltiplicata, tipica del traino prodotto da una bolla finanziaria. Retrofantasticando, una vittoria repubblicana nel 2012 avrebbe comportato più tagli alla spesa pubblica ed alle tasse e un po’ meno libertà per la Fed - via sostituzione di Bernanke - di monetizzare il debito. Ciò avrebbe portato, forse, ad una bolla meno gonfia a metà 2013 e a più occupazione, cioè ad una crescita altrettanto robusta, ma meno forzata sul lato finanziario. Ora l’America si trova molto sbilanciata sul lato dell’inflazione, che infatti sta cominciando a salire. Da qui in poi è molto più difficile prevedere gli andamenti della ripresa americana. Da un lato, il mercato è rientrato dai primi timori di correzione perché la Fed ha garantito ancora 18 mesi di cuccagna borsistica. Dall’altro, la bolla è ai limiti di sostenibilità. Probabilmente Bernanke ha deciso di mollare la presidenza della Fed perché non vuole essere ritenuto responsabile né di uno sgonfiaggio violento né di un aumento eccessivo dell’inflazione per averlo ritardato, considerando che non esistono aggiustamenti morbidi di un ciclo nell’economia finanziarizzata. Già dovrà difendersi dall’accusa di aver favorito il crack 2007-08 alzando troppo velocemente, nel 2006, il costo del denaro, bucando la bolla creata da Greenspan dal 2002 al 2005 per tirare fuori il mondo dalla sbolla del 2000, complicata dagli eventi del 2001. Per inciso, la sua difesa sarà favorita dal plauso di tutti sul come ha gestito la crisi. Ma, appunto, non sembra aver voglia di affrontare la necessaria futura correzione. Tra i candidati alla successione il rubricante preferisce Kohn, pur con poche chance, per la sua enfasi – apprezzata personalmente in seminari presso la Brookings - sulla necessità di individuare con precisione e tempestività un problema per risolverlo. Sembra irrilevante, ma si valuti che la Fed ora sta comunicando di stare tranquilli per un po’ perché la botta arriverà più in la, usando così la fiducia sul fatto che comunque sempre saprà salvare per posporre l’individuazione e la soluzione di un problema che, invece, andrebbe affrontato ora, almeno tra élite. Cosa andrebbe fatto? Sgonfiare parzialmente la bolla, facendo cadere le Borse per un breve periodo, per poi riprendere la bolla stessa e tirarla a lungo, ma con pompaggio più moderato e più incisività nei tagli di spesa e tasse. In tale scenario l’America continuerebbe a crescere a buon ritmo e stabilmente. In altre parole: non tentare né atterraggi né altitudini senza limiti, ma alternare planate e risalite, con rifornimenti in volo. Ora Obama e le sue possibili scelte di nuovi piloti della Fed fanno intendere la volontà di finanziare assistenzialismi via continuità illimitata della bolla, senza tagli al bilancio. Ma è impensabile che le èlite statunitensi non gli impongano più consistenza. Lo scenario in materia resta sospeso fino a che non vi sarà evidenza di questo fatto.