La Bce ha abbassato i tassi di riferimento base, dallo 0,75 allo 0,50%, fatto intendere che potrebbe ridurli ulteriormente e, perfino, di considerare l’ipotesi di tassi negativi per i depositi presso i suoi sportelli. Tale comunicazione segnala una nervosa frustrazione per la difficoltà di “scongelare” la liquidità dell’Eurozona e muoverla verso impieghi di mercato. Ma difficilmente queste misure sortiranno l’effetto sperato, pur di qualche aiuto. Da un lato, la trasmissione insufficiente dello stimolo monetario all’economia reale dipende da inefficienze di modello, di fatto socialista nelle tre grandi economie dell’Eurozona. Dall’altro, il fatto che lo statuto della Bce non le fornisca tutti gli strumenti per produrre fiducia pone un ostacolo sistemico alla trasmissione stessa. La Bce non può agire come prestatore di ultima istanza, in particolare garantendo i debiti nazionali dell’Eurozona. Tale deficit di garanzia si trasferisce al sistema bancario, in forma di perturbazione o restrizione del credito, diventando causa di recessione. Poi, non potendo fare azioni inflazionistiche, di fatto rende vulnerabile l’area monetaria nei confronti delle nazioni/monete che possono farle e, in tal modo, abbassare il cambio a favore dell’export. La conseguenza è che se la Bce non viene completata dandole tutti gli strumenti per produrre fiducia anche l’area monetaria resterà incompleta e per questo destinata a perdere coerenza, nel frattempo esposta a crisi competitive ed incertezza endemica. Pertanto, se si vuole rendere coerente l’area monetaria in prospettiva bisogna rivedere la teoria che ora la configura, originata dall’idealismo monetario tedesco: la stabilità equivale alla fiducia. I fatti, in particolare le azioni delle altre Banche centrali con strumenti completi, mostrano che in casi di crisi sistemica bisogna creare instabilità (rischio di inflazione) per produrre fiducia e, grazie a questa, fluidificare la trasmissione dello stimolo monetario all’economia reale. Poi c’è un problema fondamentale, finora non esplicitato: una Banca centrale senza tutti gli strumenti per creare fiducia è equivalente ad una priva di indipendenza dalla politica e per questo a credibilità limitata con conseguenze di impotenza. Questo, senza colpa dei gestori, è il caso della Bce amputata di strumenti per volontà prevalente di una nazione che impone una teoria irrealistica della relazione tra stabilità e fiducia. Detto più chiaramente, il condizionamento tedesco sullo statuto Bce toglie a questa completezza funzionale che poi si trasferisce all’area monetaria, rendendola sub-ottimale e quindi destinata a perdere coerenza, fino alla dissoluzione, oppure a pagare con bassa crescita ed alta disoccupazione la propria continuità, per questo inevitabilmente a termine. La rubrica suggerisce di sollevare la questione nel sistema di governance dell’Eurozona prima in termini scientifici e poi politici: non si può provare quale sia la configurazione ottimale di una Banca centrale, ma certamente si può confutare l’ipotesi che quella attuale della Bce possa reggere un’area monetaria funzionante, anche in caso di successo, per altro qui augurato, dell’unione bancaria. Manca la “chiusura in alto” del sistema. Sarebbe ora che l’analisi tecnica facesse l’esame di fattibilità e realismo sia all’europeismo sia alla cultura economica tedesca: l’Europa deve diventare onesta se vorrà farsi. Ma se l’onestà amplificasse i nazionalismi riemergenti? Certamente la disonestà li sta favorendo mentre il dare all’area monetaria un centro che la renda ottimale li ridurrebbe attraverso incrementi di ricchezza diffusa.