Berlino sta aumentando la pressione per includere Polonia e nazioni baltiche nel proprio spazio economico, in particolare spingendoli ad entrare nell’euro. Alcuni analisti mostrano sorpresa nel rilevare che tali paesi stiano considerando un’ipotesi che appare in contraddizione sia con la fragilità dell’euro stesso sia con gli elevati costi e vincoli deflazionistici per esserne parte. In realtà non c’è contraddizione, valutando che una Germania in espansione avrà l’interesse a rendere vantaggiosa la cooptazione nell’euro rinominato come nuovo marco. Lo scenario più probabile di medio-lungo termine, infatti, vede l’uscita dell’Italia dall’euro ed una impossibilità per la Francia di restarci anche qualora ne avesse la volontà, per altro decrescente. Quindi è razionale, nonché percorso già tracciato da binari storici, che Berlino si prepari a riorganizzare il perimetro del Reich in modi più selettivi: non più il dominio della regione europea tutta, coperto dal linguaggio cosmetico degli Stati Uniti d’Europa, ma quello dell’area nordico-baltica ed orientale. Al momento è solo un piano B, compatibile con l’eventuale tenuta dell’euro e consolidamento del Reich in forma estensiva che resta il piano A. Ma è rilevante notare che la preparazione dell’opzione “Reich B” è in accelerazione. La tendenza inclusiva ad Est, infatti, serve a creare in ogni caso un mercato interno germanizzato di almeno 200 milioni di persone, soglia minima necessaria per dare portanza globale ad una moneta. Servono, quindi, a partire dai 90 milioni di tedeschi, i più di 30 milioni di polacchi, altri dieci tra baltici e finlandesi nonché i circa 40 tra austriaci, slovacchi, ceki, sloveni, olandesi e belgi. Per gli altri 40, considerando che Ucraina e Bielorussia sono in via di riassorbimento da parte dell’Impero russo, ci sono le opzioni di mantenere inclusa la Spagna, ma con un problema di contiguità territoriale, e/o di federarsi con la comunità nordica (Danimarca, Svezia e Norvegia) però con il problema della loro ritrosia nel farlo. L’eventualità della germanizzazione del sudest europeo è probabile si limiti all’inclusione della sola Croazia, lasciando Romania e Bulgaria “cuscinetti” con l’Impero russo, mollando a questo la Serbia come già in atto. Agli strateghi tedeschi, come successo nel 1990-93, verrà certamente spontaneo valutare l’inclusione dell’Italia settentrionale. Sia per assorbirne l’industria, annullandone la possibile concorrenza, sia per recuperare una trentina di milioni di italiani già culturalmente compatibili con la germanizzazione e ben capitalizzati (nonché per un accesso al Mediterraneo con infrastrutture funzionanti). Sarà interessante seguire come gli strateghi di Berlino rifiniranno il piano di “Reich B”. Ma ora lo è di più capire se questo resti un’opzione di riserva o stia diventando uno realmente in avvio. La rubrica ritiene che Berlino preferisca ancora il progetto A perché il dominio di tutta la regione europea le permette di inserirsi come elemento G3 nel dialogo/conflitto G2 tra America e Cina, con enormi vantaggi geoeconomici. Ma desta sospetto la recente diffusione, anche a Bruxelles, della teoria che l’Eurozona imploderà o vivrà in relazione alla capacità dell’Italia di starci. La teoria è evidentemente sbagliata. Ma il fatto che stia prendendo piede mostra il pessimismo sulla convergenza degli euro-meridionali e l’inizio della ricerca di un capro espiatorio per la futura dissoluzione. Si raccomanda ai politici italiani, in particolare a quelli del PD, di essere meno leggerini perché il rischio di frammentazione di Europa e Italia è reale.