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Carlo Pelanda: 2013-1-15Il Foglio

2013-1-15

15/1/2013

Il ritorno dell’interesse americano per l’Europa è sia un vantaggio sia un rischio per Roma

La rubrica è attenta a tutti i segnali che aumentano o riducono la probabilità di formazione di un mercato euroamericano che è precursore di uno globale delle democrazie, da anni qui invocato come Free Community. Recentemente la probabilità è schizzata verso l’alto per la prospettiva di formazione di un accordo euroamericano di libero scambio, combinato con altri analoghi, intrecciati, della Ue con il Giappone e la Corea del Sud e dell’America con gli stessi e con altri. Il motivo cogente di queste convergenze multiple tra democrazie è dovuto alla necessità di aggirare l’impasse in sede di Wto con soluzioni bilaterali, ma ciò dimostra che l’idea di Free Community, pur non motivo esplicito, è di utilità condivisa. Tuttavia, il segnale più forte che l’America sia disposta ed interessata alla convergenza con la Ue è stato dato in forma insolitamente dura ed aperta di messaggio dissuasivo a Cameron: non pensare di lasciare la Ue o se no finirà la relazione privilegiata con l’America. Washington vuole che i suoi alleati europei più stretti – Regno Unito ed Italia – restino influenti sia nella Ue sia nell’Eurozona per due motivi: (a) la strategia di Obama, per altro simile a quella dell’Interesse nazionale elaborata da Bush nel 2000 e resa nota con un articolo di Condolezza Rice su Foreign Affairs, ma non applicata a causa della scelta, nel 2001, di fare guerra diretta al “terrore”, è quella di “guidare da dietro”, cioè di fornire un ombrello strategico ad operazioni di controllo geopolitico regionale svolte da alleati, cosa che presuppone alleati solidi e vogliosi; (b) ma più importante è la consapevolezza che chiunque voglia sfidare la supremazia mondiale dell’America deve separarla dall’Europa. Questa fu la strategia di Osama bin Laden, quasi riuscita, ed è certamente l’obiettivo futuro della Cina. Pertanto, semplificando, Washington ha la priorità di evitare che si formi un Reich non bilanciato in Europa e che Berlino consolidi l’asse sino-europeo. Ciò spiega le nuove attenzioni per l’Italia, e per altri, nonché il cazziatone a Cameron: la loro missione è stare in Europa per mantenere la Germania entro l’alleanza occidentale, ma bilanciandone il potere. Per riuscirci serve anche la Francia e l’America la sta sostenendo/utilizzando nell’avventura africana. Chiarito questo, resta da capire la posizione del governo britannico. La stampa enfatizza l’ondata antieuropea montante nell’elettorato, ma nei think tank si valuta più rilevante l’ipotesi che Londra non abbia più vantaggi né nello stare in una Ue dove prevale l’Eurozona germanizzata né nel mantenere un’alleanza sbilanciata con l’America. Questa ha portato solo guai, dall’Iraq all’Afghanistan, senza compensazioni, e sicuramente Londra desidera poter negoziare con più forza il dare e l’avere dei suoi coinvolgimenti. La Ue sta togliendo libertà d’azione alla piazza finanziaria inglese e Cameron deve trovare un dissuasore per bilanciare la pressione. In questi giorni americani ed inglesi si stanno rimettendo d’accordo, probabilmente con un impegno statuintense più diretto per bilanciare Berlino. Se così, si confermerà l’utilità per Roma, già qui anticipata, di rafforzamento delle relazioni bilaterali sia con la Germania sia con l’America. Ma certamente Berlino, Washington e Londra vorranno influire sulla futura nomina del ministro degli Esteri italiano. Anzi, del futuro Presidente della Repubblica. E ciò pone a Roma un problema di sovranità nel momento in cui torna rilevante nei giochi internazionali.

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