La rubrica segnala che lo scenario ipotizzato dagli operatori finanziari italiani e loro associazioni è credibile: c’è il rischio di una riduzione di quasi il 90% delle transazioni finanziarie, borsistiche e no, a causa della cosiddetta Tobin Tax. Perché mai un operatore finanziario - parte della categoria più mobile, anche perché anglofona, esistente nel mercato globale - di Milano dovrebbe mantenere la residenza in Italia se questa comporta un aggravio di costi e conseguente perdita di competitività? Ovviamente si trasferirà in piazze finanziarie straniere senza obbligo di pagare tale tassa anche se scambia titoli italiani. Ma il governo non si rende conto che una tale misura per raccattare circa un miliardo potrebbe eliminare la Borsa italiana e desertificare il (residuo) mercato finanziario, producendo un danno di decine di miliardi con impatto strutturalmente depressivo? Una paio di settimane fa la rubrica semplificò su queste pagine una strategia - prodotta dal think tank euroamericano coordinato dal rubricante - che puntava a rafforzare Borsa italiana come gancio a cui appendere la riorganizzazione del ciclo finanziario al servizio della crescita delle imprese residenti: la possibilità, via facilitazioni, di quotare in Borsa più aziende e di ampliare i mercati azionari ed obbligazionari secondari, per incentivare i fondi finanziari ad investire in queste imprese - il capitale entra se può uscire facilmente - e così evitarne la crisi dovuta alla mancanza, o ai costi eccessivi, del credito, dando loro un più forte impulso per l’internazionalizzazione. La Tobin Tax annullerebbe questa possibilità oltre a peggiorare la crisi corrente. Come mai il governo prende un rischio depressivo del genere? Il rubricante lo ha chiesto a tecnici del Tesoro, ricevendo risposte strane: calibreremo, non c’è motivo di allarme. Ma non ci credevano nemmeno loro, facendo capire di aver ricevuto istruzioni dall’alto. Incompetenza o altro? Che il governo abbia problemi di competenza è ipotesi corroborata da molti fatti: ha sbagliato le previsioni di caduta del Pil, sottovalutando gli effetti del terrorismo fiscale; ha depresso molti settori economici, oltre a quello immobiliare, il caso più evidente e clamoroso quello del rialzo delle tasse nel settore nautico che, per drenare un paio di centinaia di milioni, ha causato miliardi di perdita, anche nel contiguo settore turistico, e decine di migliaia di licenziamenti; la legge Fornero ha ridotto gli accessi al lavoro, infatti in via di modifica, ecc. In base a questi ed altri esempi si può sospettare l’incompetenza. Ma è così evidente il danno strutturale della Tobin da rendere improbabile che un governo pur incapace non lo capisca. Pertanto è più probabile che il motivo sia stato uno swap tra Italia e Francia e Germania: la prima accetta la Tobin voluta dagli altri due, in particolare da Parigi, se i due, Berlino soprattutto, molla sul fondo salvastati Esm. Se così, tale accordo è stato una follia: distruggiamo l’industria italiana sia finanziaria sia manifatturiera, la prima il sangue che fa vivere il corpo della seconda, per farci garantire un debito che dovremmo ridurre, invece, vendendo patrimonio e facendo crescita tagliando spesa e tasse per 100 miliardi. La rubrica denuncia. Ma poiché il tema è troppo tecnico per essere facilmente comunicabile e la finanza è demonizzata tutta – mentre solo una piccola parte se lo merita – la rubrica prega il Foglio di fare campagna contro la Tobin, estendendo la sua missione di difesa della vita contro il tentato omicidio di una nazione.