Il capo economista del Fmi, Blanchard, qualche settimana fa ha varato uno scenario che vede una stagnazione prolungata per l’economia globale e l’uscita dalla crisi solo nel 2018. America ed Eurozona, che producono il traino principale della domanda globale sono, la prima, in ripresa stentata, la seconda depressa dagli eccessi di austerità. La domanda globale non ha traini sostitutivi perché le altre nazioni del pianeta hanno modelli export-led che non possono essere convertiti in tempi brevi per fare più crescita interna. Lo scenario Blanchard, in realtà, proietta le conseguenze di una strategia stabilista in atto: perseguire la riparazione del sistema mantenendo il primato del riequilibrio finanziario e del controllo, pur un po’ più lasco, dell’inflazione ed una stimolazione economica che non metta troppo in tensione i modelli di welfare in America ed Europa, con solo una maggiore pressione per ridurre l’eccesso di austerità nell’Eurozona. In tale opzione, per inciso confermata dal recente summit Fmi a Tokyo, la speranza è che l’Eurozona cessi di essere un buco nero per il mondo, confidando che la pur malmessa locomotiva americana riuscirà lentamente a tirare di nuovo. C’è una logica: poiché non si può cambiare un sistema globale trainato dalla locomotiva primaria americana e da quella secondaria europea, allora è realistico cercare di ripararle ed accettare i tempi lunghi richiesti per riuscirci, senza osare opzioni arrischiate di accelerazione. Ma la rubrica non è d’accordo per i seguenti motivi: (a) cinque anni di crescita troppo lenta, dopo quattro di crisi acuta, potrebbero essere insostenibili sul piano della tenuta psicologica delle società occidentali; (b) se non riprende il tiraggio della domanda globale la Cina potrebbe implodere con conseguenze catastrofiche per tutti; (c) la poca crescita prolungata potrebbe aumentare la divergenza tra regioni economiche, come già si nota, e frammentare il mercato globale attraverso protezionismi. Il punto: lo scenario Banchard, pur realistico nel dare i tempi di una strategia stabilista, sottovaluta i rischi di una ripresa troppo lenta. In particolare, non considera il problema principale di questa epoca storica in materia di politiche monetarie ed economiche: stabilità e fiducia sono incompatibili. In tempi normali sono quasi sinonimi. Ma in questo specifico periodo di crisi divergono e bisogna scegliere tra fiducia destabilizzante e stabilità sfiduciante. La rubrica opta per una strategia fiducista (non keynesiana). Per esempio: l’euro dovrebbe essere svalutato di molto sul dollaro per accelerare la ripresa nell’Eurozona; America ed Europa dovrebbero imporre alla Cina la svalutazione comparativa della loro moneta in cambio del ritorno al traino delle esportazioni a favore di Pechino; euro e dollaro dovrebbero andare in convergenza ed ambedue accettare un’inflazione media attorno al 4%, cosa che ridurrebbe di altrettanto il debito cumulato ogni anno; soprattutto, le euronazioni dovrebbero liberalizzare le loro economie per stimolarle allo scopo di ricollocare nel mercato il personale pubblico da dismettere, così potendo tagliare spesa e tasse ed allo stesso tempo pareggiare i bilanci. Queste ed altre misure di strategia fiducista-destabilizzante potranno portare ad un ripresa forte e globale già nel 2014. Ovviamente la strategia stabilista è preferita da governi e Banche centrali perché comporta meno problemi gestionali e conflitti. Ma tale scelta di realismo pragmatico implica aumentare i rischi futuri, mentre i tempi richiedono scelte di realismo strategico: prendere un rischio subito per minimizzarlo dopo. E’ tempo di eroi e non di contabili.