L’interesse nazionale italiano è quello di intervenire attivamente per influenzare e stabilizzare il Mediterraneo e non di ergere barriere. Roma ha da sempre una politica estera così orientata. Ma nel nuovo scenario questa ha bisogno di diventare meno europea e più unilaterale nonché di nuovi strumenti nazionali.
I problemi. In Egitto e Tunisia, nazioni non petrolifere, i regimi militari riusciranno a ripristinare l’ordine, ma non necessariamente a creare nuove opportunità economiche per finanziare il consenso. In Libia non c’è problema di risorse, ma di metodo di repressione, dilettantesco ed inutilmente violento quello in atto, e di preparazione di un futuro cambiamento “dolce” di regime. L’ Algeria ha petrolio, il cambiamento della testa del regime è già stato concordato tra militari e clan Bouteflika, ma proprio per questo la transizione deve essere “accompagnata”. La monarchia in Marocco è stabile, ma va rafforzata con sostegni allo sviluppo. La Siria è agganciata economicamente alla Turchia, ma ciò non basta a stabilizzarla in prospettiva. Israele va rassicurata mostrando che c’è una potenza ordinatrice nel Mediterraneo capace di parlare con tutti, avendone la fiducia. Solo l’Italia ha questo profilo (che la Turchia cerca, ma non potrà avere). Soluzione: ingaggio più forte dell’Italia nell’area e ruolo di organizzatore di nuove istituzioni multilaterali per il Mediterraneo. Esempi di queste sono un Consiglio per la sicurezza regionale con la partecipazione di tutte le nazioni costiere e un’ Area di libero scambio a crescente istituzionalizzazione ed integrazione (Ekumene). Ambedue con sede a Roma, anche simbolo del nuovo ruolo dell’Italia come interfaccia tra i due mercati. Ma per ottenere il riconoscimento di tale ruolo l’Italia deve prima fare dei passi nazionali di potenza, cioè dotarsi dei seguenti strumenti: (a) due portaerei e connessi in più per affermare la superiorità aeronavale di area e presidiare Suez; (b) vasto programma di formazione dei militari e delle polizie a metodi evoluti di controllo; (c) istituire un Fondo sovrano italiano, per scopi generali e quello particolare di fare investimenti nella costa meridionale; (d) potenziare la Sace affinché assicuri più imprese italiane che si ingaggiano nelle nazioni arabe, creando lavoro, così incentivandole; (c) prioritario, aumentare le produzioni alimentari che l’Europa agricola ora limita, anche agendo in deroga nazionale, per poter esportare più cibo a prezzo ragionevole nelle nazioni arabe dove suo il costo inflazionato è la maggior causa di dissenso ed instabilità. Progetto granaio. Galan?