Terzo scenario per un 150° futurizzante e non solo commemorativo. Se la nazione non mette in priorità l’abbattimento di almeno una parte del debito, allora il suo peso eccessivo renderà più difficili, o perfino infattibili, le politiche di riequilibrio contabile e di rilancio della crescita.
Ciò è talmente evidente che il prof. Savona si è chiesto recentemente cosa impedisca alla politica di accorgersene. La rubrica si associa. Ma anche chiede ai colleghi di esprimere una posizione tecnica chiara. Nel corso di un dibattito alla radio (24), tempo fa, il rubricante sostenne che nel caso italiano non era possibile applicare il paradigma canonico di riduzione di un passivo via aumento della crescita perché il troppo debito la soffocava e che si doveva prima tagliarlo per liberarla. Ma il prof. Giavazzi negò la rilevanza della proposta e riaffermò il paradigma. Fino a che non si chiarisce questo punto la politica potrà citare un pensiero economico che ne giustifica l’inazione. In realtà Tremonti sperimentò un’operazione selettiva patrimonio contro debito via cartolarizzazione, ma questa abortì. Inoltre non c’è un censimento del patrimonio pubblico calibrato per alienazioni. Evidentemente è finora prevalso l’interesse ad oscurare. Ciò fa ipotizzare che la politica non voglia tagliare debito vendendo patrimonio per difficoltà sia tecniche sia di consenso. Inoltre il federalismo demaniale ridurrà la parte di patrimonio usabile contro debito. Per questo la rubrica propone di tagliare il 10% del debito complessivo (rimborsando titoli a scadenza senza rifinanziarli con nuovo debito) alienando un minimo di immobili, un massimo di altri beni statali e completando la cifra con un’iniziativa “oro alla patria”. Si tratta di trovare, in tre anni, circa 180 miliardi di euro, di cui 100 via tassa una tantum, 50 vendendo partecipazioni azionarie e solo 30 alienando immobili. Benefici: (a) risparmio di 7 miliardi annui di spesa per interessi, forse 12 per il miglioramento del rating del debito italiano dopo un’azione così coraggiosa; (b) minore necessità di tagli alla spesa per raggiungere il nuovo eurorequisito di “deficit zero” attutendone l’effetto deflazionistico; (c) miglioramento della credibilità internazionale dell’Italia che la renderà più influente nelle decisioni europee. Alienazioni e prelievo una tantum possono essere fatti senza effetti economici depressivi. Pertanto i vantaggi sono immensamente superiori ai costi. Come mai il 10%? Perché è il punto di equilibrio tra fattibilità ed utilità. Consenso per la tassa una tantum? La nazione c’è e lo darà se la politica sarà credibile.