Lo scenario di inflazione energetica crescente richiede criteri più flessibili di politica monetaria
L’inflazione energetica è destinata ad aumentare. Solo la tecnologia potrà calmierarla. Nell’attesa, per contenerla, le banche centrali devono alzare i tassi per rallentare l’economia e così ridurre la domanda e i prezzi dei carburanti. Ma la loro scelta potrà determinare o un giusto grado di deflazione (recessione breve ed espansione lunga) o uno superiore al necessario (stagnazione). Per evitare errori dovranno cambiare i criteri “quando/quanto” di intervento.
Nei giorni scorsi la Fed avrebbe dovuto aumentare i tassi ed annunciare ulteriori rialzi. Ma così avrebbe gettato l’economia statunitense in una recessione pesante. Ha preso il rischio, invece, di aspettare un po’ per vedere se qualcosa nei prossimi mesi potrà contenere l’inflazione e permettere una recessione breve per riequilibrare il sistema e poi rilanciarlo verso l’espansione. Per alcuni Bernanke ha solo obbedito a Bush preoccupato di arrivare alle elezioni parlamentari di novembre in clima di pessimismo economico. Forse, ma prevale il timore della Fed di perdere la fiducia del mercato se deprimesse l’economia senza motivo. Prima la fiducia, poi la stabilità. Per la Bce, invece, la stabilità coincide con la fiducia. Tale “idealismo economico”, complicato da uno statuto che non la obbliga a stimolare la crescita, predispone la Bce ad indurre recessioni deflazionistiche più pesanti del necessario. Ha deciso, infatti, di proiettare i tassi verso il 4% senza aspettare di vedere l’effetto della probabile contrazione americana nel 2007 e di quella europea indotta proprio dal rialzo dell’euro sul dollaro e relativo impatto sull’export. E lo ha fatto perché ritiene di dover intervenire almeno 18 - 12 mesi prima per correggere la tendenza inflazionistica. La Fed, invece, ha accorciato il tempo di correzione preventiva per vedere quali fattori non previsti ed intervenienti potranno ridurre l’inflazione. Ovviamente ciò implica il rischio di dover attuare rialzi dei tassi più pesanti in caso di guai. Ma questo è più accettabile di quello di generare recessioni certe e prolungate. Il punto: per gestire lo scenario di inflazione da energia le banche centrali dovrebbero ridurre l’anticipo per la correzione preventiva e prepararsi ad interventi più violenti: accorciare il “quando” ed aumentare il “quanto”. Cioè passare dalla prevenzione remota al “just in time”, dall’idealismo al pragmatismo. La Fed sembra farlo, la Bce no. Pertanto l’Europa è a rischio di un eccesso di deflazione. Per evitarlo i governi dovrebbero o cambiare statuto e personale della Bce oppure disinflazionare l’energia riducendo le tasse sui carburanti.