Forza e valore di cambio di una moneta sono cose diverse. La prima riguarda aspetti fondamentali del sistema sottostante, quali la governabilità e l’efficienza economica, mentre il secondo è definito da flussi di capitale che si muovono in base a motivi di contingenza. Ciò è ovvio, ma va ripetuto per inquadrare senza distorsioni lo scenario di “valutazione netta”: il dollaro è prospetticamente fortissimo pur avendo un cambio correntemente depresso mentre l’euro si sta indebolendo anche se provvisoriamente alto. E’ comprensibile che le attenzioni si concentrino sulla priorità di breve. L’euro alle stelle danneggia le esportazioni dell’Europa che non ha altre leve di crescita perché bloccata dalle rigidità interne. Il dollaro è caduto a livelli che cominciano a preoccupare sia il Tesoro americano sia la Fed che lo hanno pilotato al ribasso - il primo massimizzando le stimolazioni, la seconda minimizzando il costo del denaro – in quanto i deficit commerciale e di bilancio rischiano di non essere più finanziati da un afflusso di capitali dal resto del mondo. In sintesi, il breve termine è caratterizzato dal fatto che nessuno ha voglia di comprare dollari, ma il medio indica un crescente pericolo strutturale per l’euro dovuto alla combinazione tra bassa crescita, poca produttività ed eccessivo disordine intraeuropeo. Tale problema è montato in forme preoccupanti negli ultimi mesi, non tanto per la rottura del Patto di stabilità, vista come necessaria ossigenazione di un sistema in apnea, ma per la sua mancata sostituzione con un qualche altro meccanismo di efficace ordinamento politico. Il fallimento della costituente, poi, ha dato un segnale di ingovernabilità non solo incidentale, ma duraturo. Il punto: la priorità non è quella di arginare la caduta del dollaro, il cui “forte” sottostante tornerà prima o poi in equilibrio macrofinanziario, quanto il trovare una soluzione al problema di come rendere “forte” prospetticamente l’euro. Difficilmente potrà essere generata dall’europolitica. Quindi resta solo, e drammaticamente sola, la Bce. Cosa potrà fare? Potrebbe semi-dollarizzare l’euro. Per esempio, tra le altre misure monetarie, portarne i tassi a coincidere il più possibile con quelli del dollaro. In generale, significherebbe trasferire – di fatto e non di forma - la sovranità monetaria europea alla Federal Reserve per ottenere in cambio un aggancio alla forza strutturale che il dollaro possiede e l’euro sempre di meno. Questa rubrica si scusa con i lettori sconcertati dall’idea di cercare pilastro in un dollaro che ora sembra in crisi, ma ritiene che ciò non sorprenda Trichet.