Salto di scenario. I gruppi jihadisti si sono fusi e ciò permette loro una capacità sia globale sia di rendere produttivo, cioè destabilizzante, il terrorismo. Tale possibilità era stata valutata attentamente nel passato dai pensatoi – occidentalisti – più tecnici in termini di problema dell’“induzione di escalation”. Noto per l’impossibilità di trovare soluzioni ottimali: (a) se la reazione al terrorismo è di minima intensità, per esempio l’opzione perseguita dall’Amministrazione Clinton attivando solamente mezzi di guerra segreta, si rischia di favorirne l’estensione e la capacità di portare colpi pericolosi; (b) se è massima e “rumorosa”, il rischio è quello di indurre un’escalation organizzativa nel nemico. La scelta dipende da parametri piuttosto ben precisati. Se i gruppi terroristici sono locali o di forza solo media conviene contrastarli con mezzi silenziosi proprio per non favorirli. Se, invece, la loro pericolosità e diffusione è notevole bisogna necessariamente prendere un rischio sul lato dell’escalation per tentare di eliminarli il prima possibile, cosa che richiede azioni aperte e tonanti. Per esempio, il togliere agli insorgenti i territori dove possano preparare in pace truppe e armi tecnologicamente evolute come si è fatto per l’Afghanistan e l’Iraq. Dopo l’11/9 l’Amministrazione Bush ha scelto la seconda strategia. Ma lo ha fatto sulla base di una sensazione, per altro corretta, più che di informazioni precise di intelligence sulle reali dimensioni del nemico. Che la ha portata non a sottostimare il pericolo di escalation, come qualche superficiale scrive, ma a sopravalutare la probabilità di annichilire il nemico prima dell’inevitabile effetto di escalation stessa. Per le opinioni pubbliche ciò è motivo di inquietante sorpresa, per i tecnici è un segnale che bisogna passare dal “Piano A” a quello “B”. Ora è più chiaro che le èlite Jihadiste abbiano una capacità organizzativa che li rende potenzialmente capaci di rovesciare i regimi islamici moderati, impadronirsi della Mecca e creare un blocco geopolitico che sfidi sul piano simmetrico (petrolio e minaccia nucleare) l’Occidente. Anche se tale possibilità ha poca probabilità, il fatto di non avere ancora un’informazione completa sul nemico consiglia di non escludere brutte sorprese. Pertanto il “Piano B” consiste nel proiettare subito la massima potenza dell’Occidente per conquistare le menti ed il cuore di un miliardo e mezzo di islamici: includere la Turchia nella Ue, forzare la seconda a consolidare il Mediterraneo, associare molti Paesi islamici in un derivato della Nato, costruire una regia unica globale euroamericana.