Pochi giorni fa il Fmi ha velatamente criticato il governo americano perché nelle politiche di stimolazione economica interna non tiene conto della sua responsabilità di pilastro dell’intero mercato globale. Questo è organizzato in forma di modello stellare: tutti esportano in America e incassano dollari che poi reinvestono sull’America stessa. Se qualcosa interrompesse tale giro allora il sistema mondiale andrebbe in tilt. E l’inceppo principale, in sintesi estrema, riguarda il valore di cambio del dollaro. Se cadesse di tanto tutto il mondo esporterebbe di meno negli Usa e ciò creerebbe una crisi in quanto nessun paese ha capacità sufficienti di crescita interna, o a causa di modelli rigidi (eurozona, Giappone) o di situazioni di sviluppo ancora poco evoluto (nazioni emergenti). E non ci sono altri luoghi sostitutivi dove esportare altrettanto. Oppure i flussi di capitale diserterebbero un dollaro svalutato non permettendo più agli Usa di riequilibrare il deficit commerciale (eccesso di importazioni) per via finanziaria. Cosa che peggiorerebbe il crollo della valuta americana o attiverebbe misure protezionistiche che comunque manderebbero in tilt il sistema. Quindi è comprensibile che l’apparente politica del dollaro debole perseguita dall’amministrazione Bush - alto deficit di bilancio complicato da detassazioni che potrebbero rendere difficile un suo riequlibrio veloce – possa mettere qualche inquietudine. Condivisa, ma come problema strutturale e non solo contingente, dai think tank che questa rubrica frequenta. Da anni si osserva l’impossibilità di armonizzare politica economica interna statunitense e suo effetto stabilizzatore globale. Per esempio, ai tempi del default russo e della crisi asiatica (1997-98) la Fed inondò di liquidità l’intero pianeta per contrastare la crisi di fiducia. Ma riducendo i tassi oltre la misura consigliata dalla situazione interna statunitense creò le condizioni per una bolla borsistica il cui scoppio fu poi catastrofico. Morale: se salvi il mondo metti a rischio gli Usa e viceversa. L’Amministrazione Bush ha preferito il "viceversa". Sarà pericoloso? Lo sarebbe di più una recessione interna. Inoltre il valore prospettico del dollaro si basa su fattori non direttamente economici: capitale intellettuale (tecnologia), forza militare, ecc. Poiché l’indebitamento americano finanzia questi fattori indiretti di potenza e non viene disperso in inutili assistenzialismi, allora si può prevedere che il primato comparativo del dollaro, nel medio periodo, non è per nulla a rischio. Anzi. Così il mondo potrà restare centrato su di esso anche se per qualche mese indebolito.