A Pechino si è aperta una partita tra Cina ed Usa. Questo non vuol dire che la questione nordcoreana, oggetto del summit tra sei Paesi (Corea del nord, del sud, Cina, Usa, Giappone e Russia), sia irrilevante. E’, ovviamente, una fonte di instabilità globale che va chiusa. Ma il “come” sarà un primo gioco di potenza tra i due giganti per determinare chi comanderà nel Pacifico e quindi, in prospettiva, nel globo. Questo il senso della partita. L’interesse cinese in questa prima mano è quello di congelare lo scenario: (a) tenere separate le due coree per evitare l’emergere di una nuova potenza ai confini e a ciò serve il mantenimento del, pur disprezzato e odiato, regime di Pyongyang; (b) impedire che si formi una cintura regionale di contenimento geopolitico “a ridosso” del potere cinese, a favore degli Usa, fatta da Giappone, Corea del Sud, India, ecc.; (c) in particolare, evitare che il riarmo nucleare dei nordcoreani dia la scusa a Tokyo, Seul (e Taipei) di fare lo stesso e di integrarsi nel sistema americano della “Difesa antimissile di teatro” (Tmd) in quanto ciò creerebbe enormi problemi a Pechino; (d) tra cui l’impossibilità di mantenere la lenta pressione strategica su Taiwan per riassorbirla in prospettiva e sulla Corea del Sud affinché si deamericanizzi lentamente a favore dell’integrazione economica con la “Greater China”, destino previsto anche per il Giappone. In sintesi, mantenere in vita il regime nordcoreano togliendogli l’aggressività è la condizione necessaria ai cinesi per sperare di non farsi contenere e, loro obiettivo primario di lungo periodo, sbattere fuori dal Pacifico gli Americani. Con l’aggiunta di un requisito critico: (e) fare tutto questo mantenendo con gli Usa rapporti sufficientemente buoni da non pregiudicare almeno per il prossimo decennio l’inclusione della Cina nel mercato globale. Perché senza questa (export ed investimenti) mancherebbe quasi metà della leva per la crescita che sostiene le ambizioni di potenza di Pechino. Che ha tentato di star fuori dal caso nordcoreano proprio per non pregiudicare una lunga partita a scacchi che la vede in vantaggio se non diventa pedone. Ma gli americani, con una splendida mossa di poker, li hanno costretti ad ingaggiarsi direttamente e ad accettare un vincolo multilaterale che complica il disegno strategico detto. Pur essendo troppo presto per previsioni, appaiono chiare due cose. Quelli che si erano chiesti come mai Bush non trattasse la Corea del Nord come l’Iraq ora possono capirlo. Più divertente: i cinesi saranno costretti ad imparare il poker americano per sfilarsi dalla trappola e gli Usa gli scacchi cinesi per tenerceli.