Nei think tank occidentali si ritiene incomprensibile la definizione dell’interesse nazionale da parte di Chirac. Per esempio, l’ottima posizione dell’azienda petrolifera francese nell’Iraq di Saddam sarebbe meglio difesa mettendosi d’accordo con gli americani e non di traverso. Non è escluso che si tratti solo di un negoziato difficile, anche perché riguarda l’assetto futuro dell’Opec, e che i francesi tengano duro fino all’ultimo per strappare migliori condizioni nel post-Saddam. Ma il linguaggio declaratorio che di solito copre questi mercanteggiamenti – e che schiere di sprovveduti pacifisti scambiano per posizione contro la guerra, perfino "europea" - è troppo pepato per far pensare che si tratti del solito gioco. Qual è quello vero, allora? Cogliere l’occasione dell’errore comunicativo fatto da Bush quando ha espresso il concetto di guerra preventiva – cioè di impero globale "attivo" e non più "inintenzionale" – per costruire un bilanciamento eurasiatico guidato dalla Francia? Se fosse così, Chirac si dimostrerebbe un dilettante perché: (a) le élite economiche tedesche, qualsiasi cosa dica il provvisorio Schroeder, puntano a restare interlocutrici privilegiate degli americani in Europa per loro massimo svantaggio in caso contrario; (b) l’interesse di Mosca è di consolidarsi come secondo impero globale che possa usare gli Usa contro l’invadenza della UE e la seconda per bilanciare l’America, premendo l’uno o altro bottone quando serve, con l’interesse prospettico, tuttavia, di convergere meglio con Washington quando sarà necessario contenere la Cina; (c) come dimostrato, in caso di scelta eurasiatica Parigi verrebbe isolata dagli altri europei, oltre che mollata dai russi. Poiché Chirac dilettante non sembra, forse c’è dell’altro. Ma vattelapesca. Un’alleanza segreta tra Parigi e Pechino o con il Vaticano? Fantapolitica. Che Parigi, alle prese con milioni di islamici sul suo territorio, tema attentati contro le sue tante centrali nucleari e abbia preso una postura antiamericana per evitarli? Non escludibile, ma un tale motivo, se svelato, farebbe pagare a Chirac un prezzo di credibilità superiore al vantaggio. In sintesi, non si trova una spiegazione costi/benefici alle posizioni francesi correnti. Per cui è probabile che Chirac abbia fatto male dei calcoli e sia, ora, prigioniero dell’orgoglio. Quindi la priorità è quella di far rientrare un importante europartner nella ragione senza fargli perdere la faccia. In Italia si potrebbe contribuire cercando di sfottere di meno Parigi, specialmente questa rubrica. Che si adegua al nuovo corso proponendo il Nobel per la pace a Chirac.