Trenta anni fa, nel 1973, Henry Kissinger avviò il passaggio dalla gestione singola dell’ordine mondiale da parte degli Usa ad una collettiva, condivisa con gli alleati principali. A quei tempi lo scenario mostrava che sarebbe stato impossibile per l’America sostenere da sola i costi politici ed economici del suo impegno globale. Per esempio, il finanziamento del consenso degli alleati al contenimento dell’impero sovietico costava circa un punto di Pil annuo: l’America lasciava aperto il suo mercato al loro export senza chiedere in cambio reciprocità. Per europei e nipponici fu una pacchia, ma un incubo per i colletti blu di Detroit e Pittsburgh. Come il Vietnam. In generale, la coperta americana si stava facendo più piccola del letto mondiale. La soluzione era evidente: estenderla, facendo condividere agli alleati i costi della locomotiva economica e quelli di sicurezza. Le riunioni preliminari a tre, “Library Group” con Giappone e Germania, portarono poi alla nascita dei G5 (Rambouillet, 1975) oggi allargatosi come G8. Ma non si arrivò mai ad un vero “collective management”: gli americani non vollero concedere troppo potere agli alleati, perché non si fidavano, e questi non accettarono i costi della co-leadership (liberalizzazioni interne e più spese militari). Così nel 2003 si ripresenta lo stesso problema del 1973: Atlante regge da solo il peso del mondo. Una parte dei think tank statunitensi ritiene che la superiorità americana sia talmente grande da poter gestire la fatica senza grossi problemi. Per esempio, si veda su Foreign Affairs (estate 2002) il saggio “The American Primacy”. Ma gli scenari più realistici mostrano il contrario. La capacità di vincere qualsiasi guerra non assicura contro il rischio di incidenti, chiama contromosse asimmetriche (terrorismo) e produce costi crescenti oltre che dissensi. Già evidente, inoltre, il ruolo di locomotiva unica globale porta alla destabilizzazione dell’economia interna. In sintesi, gli Usa restano nella trappola che Kissinger voleva evitare: costretti comunque a gestire il mondo, perché nessun altro lo fa, ma con sempre più difficoltà, costi e rischi. Soluzioni? O isolazionismo blindato o dominio unilaterale diretto o continuare nella ricerca della condivisione dei costi imperiali. Direzioni probabili? La prima è inattuabile. La seconda ha affascinato per qualche mese l’amministrazione Bush, ma poi l’analisi razionale la ha definita come un peggioramento del problema e non una soluzione. Resta la terza: da 30 anni unica opzione, ma per i prossimi probabilmente irrealizzabile. Ad un Atlante sempre più solo ed affaticato questa rubrica dedica il 2003.