Lafontaine, superministro dell'economia tedesco e leader del partito socialdemocratico, é all'attacco su cinque fronti: (a) ridurre la quota che la Germania versa al bilancio dell'Unione Europea in modo tale che i denari così risparmiati possano essere riutilizzati a livello nazionale per mantenere in equilibrio l'insostenibile stato assistenziale germanico; (b) omogeneizzare verso l'alto i sistemi fiscali europei in modo tale che nessuna euronazione possa fare concorrenza per costo alla Germania socialista; (c) ridurre l'indipendenza della Banca centrale europea per renderla più vulnerabile ai desideri della politica, in particolare quella di Berlino; (d) forzare, in accordo con giapponesi e francesi, la creazione di un sistema di cambi regolati - in prospettiva fissi- tra dollaro, euro e yen in modo da tenere sotto certo controllo la competitività valutaria tra mercati continentali; (e) attivare un controllo dei capitali internazionali affinché questi non possano più andare e venire a loro piacimento. Come mai tante battaglie tutte in una volta? Perché nel primo semestre del 1999 la Germania ha la presidenza di turno sia dell'Unione Europea che del G7. Ciò non comporta alcun potere particolare nei confronti delle altre nazioni a parte l'importantissima facoltà di poter influenzare l'agenda dei temi in discussione. Per esempio, é molto improbabile che la Spagna o l'Irlanda, paesi che ricevono migliaia di miliardi assistenziali dal bilancio europeo, mettano in agenda una riorganizzazione di questo a loro sfavore. Quindi la Germania deve sfruttare la propria presidenza di turno per cercare di forzare il suo interesse entro giugno. Lo stesso può dirsi a livello G7. Stati Uniti e Regno Unito sono del tutto contrari a qualsiasi ipotesi di regolazione dei cambi. Francia ed Italia non hanno la scala per poter forzare tale tema nell'agenda formale dei temi in discussione. Il Giappone e la Germania sì. Tocca alla seconda.
Ma qual é lo scopo strategico di Lafontaine? Quello di creare una Germania il più socialista possibile. Per realizzarlo, però, ha bisogno di rendere altrettanto socialista o quasi il resto dell'Europa nonché meno libero il sistema mondiale dei capitali. Perché? Esempio, se il costo del lavoro si alza in Germania e resta basso in Spagna, é ovvio che, dato il sistema a moneta unica, la seconda attrarrà investimenti e la prima li perderà (come infatti sta succedendo). Quindi Berlino deve suscitare la creazione di regolamenti europei (fiscali, sindacali, salariali) che impediscano alle singole nazioni di essere più competitive. In caso contrario dovranno essere i paesi a maggiore vocazione socialista a doversi adattare a quelli più liberalizzati, pena una crescente povertà. Ma blindare solo Eurolandia non basta. Lafontaine sa benissimo che in un'Europa meno amichevole nei confronti del mercato - magari con il controllo diretto statale dei conti bancari come si sta proponendo in Germania e si sta realizzando parzialmente in Italia- molti cercheranno di esportare i capitali, oltre che le attività, in altri luoghi più liberalizzati ed efficienti del mercato globale. Quindi senza un certo controllo di questi flussi sarebbe un suicidio tentare di socialistizzare l'Europa. E questo é un punto. L'altro riguarda il problema di come evitare la recessione economica - attualmente é stagnazione e crisi occupazionale in tutta l'Eurolandia statalista- nella fase di ulteriore socialistizzazione. Meno libero mercato significa meno crescita spontanea. Questa, nell'idea della sinistra, deve essere sostituita da una maggiore capacità di spesa pubblica. Ma i vincoli dell'europatto di stabilità impediscono ai paesi europei di portare il deficit annuo del bilancio statale oltre il 3% del Pil. Anzi, li obbligano al pareggio di bilancio entro il 2002. Già da mesi i paesi eurosocialisti si sono messi d'accordo per ammorbidire silenziosamente questo vincolo fondamentale per la credibilità dell'euromoneta. Infatti la Banca centrale europea ha suonato l'allarme. Ma questi paesi hanno bisogno di più soldi e, quindi, di splafonare anche la soglia del 3%. Se lo fanno, tuttavia, la Bce alzerà i tassi per evitare che la maggiore spesa in deficit generi inflazione, anzi "stagflazione" (stagnazione+inflazione). E se ciò accadrà, allora aumenterà il costo annuale del debito per ciascun Stato oltre a peggiorare il credito all'economia reale. E' ovvio che, per evitarlo, Lafontaine cerchi un maggiore controllo politico della Bce. Inoltre, nell'immediato, ha bisogno che l'euro si indebolisca ancor di più per favorire le esportazioni europee, tedesche in particolare, che forniscono l'unica possibilità di crescita ad un mercato interno soffocato dallo statalismo. Ma la Bce non ha intenzione di indebolire oltre misura l'euro così come si oppone, giustamente, all'idea di cambi fissi con dollaro e yen perché insostenibili a causa della diversità dei rispettivi modelli economici continentali. E per questo aumenta la pressione politica per piegare la Bce stessa.
Finora questo disegno di Lafontaine ha fatto sorridere tutti per la evidente infattibilità e mancanza di qualsiasi buon senso. E ben pochi gli hanno dato peso. Ma, in realtà, la Germania rosso-verde lo sta perseguendo sul serio con la complicità parziale dei francesi e totale degli italiani. Anche se non riuscirà, grazie all'opposizione di Regno Unito e Spagna, per gli aspetti europei, e degli americani, per quelli globali, comunque qualche danno rischia di produrlo. Cosa fare, qui e come opinione pubblica? Vigilare sul governo italiano affinché sia il meno possibile complice dell'ennesimo errore storico di Berlino.