Merita commento l’anomala tenuta del dollaro nonostante il suo sottostante economico sia recessivo. Nei mesi scorsi molti ne avevano previsto il crollo. Non è avvenuto per due motivi: (a) il mercato ha visto che le tre locomotive mondiali sono contemporaneamente in panne e resta sul dollaro perché, pur incerto il quando e quanto, sicuramente l’economia americana sarà la prima a rimbalzare, europei vagoni senza forza motrice propria, giapponesi zombi; (b) una manina politica tiene il dollaro su e l’euro giù perché conveniente ad ambedue. Ma la seconda sta esagerando nel creare una eccessiva “rigidità in alto” della moneta americana e ciò crea una situazione di pericoloso disequilibrio. Per capirla, vediamo l’analisi costi/benefici del superdollaro. Se scendesse, agli americani sarebbe utile per risollevare la competitività del settore manifatturiero e per aumentare i profitti delle operazioni estere delle aziende quotate sulle Borse Usa. Non irrilevante, le monete ancorate al dollaro, per esempio il peso argentino, ridarebbero competitività alle esportazioni ora penalizzate dal cambio artificialmente alto. Ma i minori flussi di capitale verso gli Usa non ne compenserebbero più l’enorme deficit commerciale e sarebbe crisi finanziaria. L’America importerebbe di meno e tutto il mondo che vi dipende andrebbe in recessione duratura. Soprattutto verrebbe fuori la semipanzana della grande produttività del sistema statunitense trainata dalla tecnologia. Questa c’è, ma in parte perché il superdollaro riduce i costi delle componenti importate e ciò risulta in incrementi del valore dell’output per ora di lavoro. Se il dollaro atterrasse, la produttività si ridurrebbe e ciò abbasserebbe il tetto della crescita non-inflazionstica statunitense. Rischio catastrofico se combinato con l’aumento dell’inflazione importata. Agli europei l’euro così basso porta svantaggi gravissimi: più inflazione e poca attrattività per gli investimenti finanziari. Disastro tecnico. Ma così evitano, temporaneamente, quello politico: un euro più alto imporrebbe la ricerca della competitività economica non attraverso la svalutazione che pompa l’export, ma con riforme di efficienza che aboliscano il protezionismo sociale, sindacati in piazza. Pare ovvio che ambedue i continenti vedano nel dollaro alto il male minore nel breve termine. Bravi pokeristi, ma sono intrappolati in un bluff che possono difendere solo rilanciando continuamente. Non reggerà o, se sì, produrrà squilibri sempre più gravi. Sarebbe sensato avviare un riequilibrio lento dei cambi. Da una parte, è comprensibile che non si tenti di farlo per paura che gli speculatori inneschino fenomeni incontrollabili. Dall’altra, cresce la tentazione di andare a vedere il bluff. Comunque bel poker.