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Carlo Pelanda: 2001-7-21Il Foglio

2001-7-21

21/7/2001

La seconda ecologia è morta, ma gestire la prima sarà più impegnativo

Gli ecosummit sono in stallo per motivi più profondi del rifiuto americano di aderire al protocollo di Kyoto. Si è esaurito l’ambientalismo inteso come limitazione dello sviluppo, la “seconda ecologia”. Questa, emersa in Occidente nei primi anni ’70, si basava su tre paradigmi diversi, ma tutti anticapitalistici. Primo, pessimismo aristocratico: il futuro non potrà essere migliore del presente, quindi bisogna fermare il primo e restare fermi al secondo. Tale concetto fu elaborato da èlite antimoderniste e si combinò con la reazione di una minoranza del mondo scientifico all’eccesso di fiducia nei confronti della tecnologia che la maggioranza dimostrava. Secondo, il “rossoverdismo”. In America ed Europa le sinistre classiche sono state sconfitte dal tecnocapitalismo. Gran parte della sinistra si è arresa ed adeguata (svolta centrista). La componente irriducibile ha cercato un nuovo mezzo per continuare la lotta e lo ha trovato nell’ambientalismo limitativo, impadronendosene. Terzo, “post-umanesimo”: essere nella grande corrente della dea natura invece di dominarla. La fusione tra paradigmi avvenne a livello di “truppe”: chi si sentiva escluso dal capitalismo trovò in questo calderone un’identità che travestiva di missione ideale l’insuccesso personale in un mondo competitivo. Il movimento si allargò e condizionò la politica. Ma proprio l’eccesso di antagonismo dei militanti ne erose la credibilità. L’ecocatastrofismo non è provato dai fatti. Soprattutto, i tentativi di mettere in pratica un ambientalismo contrario ai requisiti dello sviluppo si sono rivelati, negli ultimi anni, inapplicabili. In sintesi, la “seconda ecologia” non riuscirà più a trasformarsi in consenso di massa. Quindi resta portante e direzionale la prima: adattare il mondo alle esigenze dei sistemi umani e non viceversa. Così è sempre stato, ma finora “implicitamente” data l’ovvietà per necessità del primato antropico. Se lo proiettiamo in base ai trend correnti, entro un secolo il pianeta comincerà a configurarsi come un’unica grande città. A quel punto sarà giocoforza iniziare a prendere il controllo diretto dell’ecosfera (clima, acque, ecc.) per adattare il sistema fisico limitato a quello umano illimitabile. La tecnologia (terraformazione) potrà farlo. Ma per produrne una adeguata, nei decenni futuri, ci vorrà il consenso. Quale il modo migliore: aspettare che la cultura generale si abitui pian piano, via cambio generazionale, a questo scenario o esplicitarne già ora i termini quando le popolazioni potrebbero spaventarsi perché non educate all’ecodiscontinuità? Bel dilemma, era meno impegnativo confrontarsi con l’oscurantismo della seconda ecologia. 

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