Nippodissea. Dal 1992 il Giappone ha fatto di tutto, meno la cosa giusta, per risolvere una crisi ormai endemica. Finora il sistema non è saltato perché Tokyo possedeva una ricchezza residua tale da finanziare, per anni, un modello sbagliato. Infatti nell’ultimo triennio è stato puntellato con ondate di deficit-spending che porteranno nel 2005 il debito proiettato al 200% del Pil. Ma senza esito di risviluppo. Nel primo trimestre il Pil è regredito dello 0,8% e nel secondo va male. I consumatori non spendono. Le industrie non investono e, soprattutto, le banche non prestano. L’inflazione è negativa (meno 2%), i tassi monetari sono a zero. In sintesi, la ricchezza potenziale del paese è stata immessa in un sistema che l’ha congelata: deflazione e crisi di liquidità. Ora non ci sono più risorse per finanziare il ritardo di riforma. Disperato, il partito liberaldemocratico (una sorta di super DC vecchi tempi), ne ha preso finalmente atto e ha lanciato il vulcanico Junichiro Koizumi, indicato come salvatore della patria per le sue idee riformiste. Sta ottenendo un consenso popolare senza precedenti e ciò fa prevedere che nelle elezioni di luglio verrà confermato primo ministro. Farà la cosa giusta, rompere gli intrecci (keiretsu) opachi tra banche, imprese e politica, flessibilizzare il mercato e riequilibrare l’eccesso di capacità produttiva? Improbabile, significherebbe cambiare l’intera società nipponica. Per esempio, senza il consociativismo finanziario che le assiste, le imprese non potrebbero assicurare l’impiego a vita; la concorrenza eliminerebbe gli interessi protezionistici locali. Il tasso di sofferenza di ogni riforma sarebbe tale da escluderne la fattibilità in tempi rapidi. Per questo Koichumi, realisticamente, potrà solo tentare di governare le attese in senso ottimistico per mobilizzare il capitale di risparmio. Il punto è che per riuscirci, in assenza di altri motori, dovrà governare con l’inflazione e gli servirà la complicità della Banca del Giappone. Questa, storicamente asservita al governo (motivo della bolla finanziaria 1988-91 e del suo scoppio incontrollato che innescò la deflazione attuale), è indipendente dal 1998. E il suo presidente, Masaru Hayami, non ci sta: “fate le riforme strutturali, invece”. Giusto, il consumatore compra l’auto oggi non se ritiene che il prossimo anno costerà di più, ma se prevede la fine del tunnel. D’altra parte, chi preme per l’inflazione pensa ad un altro effetto. L’alzarla è un modo scellerato, ma efficace, per trasferire forzatamente la ricchezza dai risparmiatori ai debitori. Se il sistema bancario, con crediti inesigibili equivalenti a 820 miliardi di dollari (500 ufficiali), godesse di una bolla inflazionistica, allora, in cambio, potrebbe tornare a prestare denari per investimenti industriali e finanziamenti al consumo. Sarà questo inciucio la via distorta al salvataggio nipponico? Hayami ha dichiarato ieri che collaborerà con il governo e la nippodissea continua.