Esoeconomia. I rottami orbitanti - caricati di energia cinetica corrispondente all’ipervelocità di quasi 30mila Km all’ora - sono un rischio crescente per le missioni spaziali. La Space Surveillance Network ne ha catalogati 23mila di grandezza superiore ai dieci centimetri. L’Esa rileva 8.500 oggetti orbitanti maggiori di cui solo 600 operativi. Sono circa 150mila i detriti di grandezza inferiore ai 2 centimetri ruotanti nell’orbita bassa. Si va dai frammenti congelati del refrigerante per i reattori nucleari installati sui satelliti ex-sovietici Rorsat, a satelliti integri non più funzionanti; dagli stadi dei missili alle particelle microscopiche delle vernici; dagli strumenti persi dagli astronauti ai motori ausiliari abbandonati. La maggior parte di questo materiale resterà vagante e micidiale per secoli. E aumenterà in base all’incremento futuro dei sistemi spaziali. Per esempio, i satelliti commerciali tendono a diventare più piccoli, ma per questo più vulnerabili all’impatto con i rottami. Ed uno che verrà colpito diventerà a sua volta spazzatura-proiettile. In un convegno dell’Esa a Ramstadt, questa settimana, si è ipotizzato che nel 2050 lo spazio orbitale potrebbe diventare impraticabile. Per evitarlo sta emergendo una dottrina che incorpora nell’ingegneria dei nuovi mezzi spaziali misure che riducano l’esoinquinamento: procedure per parcheggiarli a missione finita in un’orbita specifica dove concentrare tutti i rottami; sistemi costruttivi che minimizzano il rilascio di residui. Ma, proiettandolo, tale approccio aumenterà i costi delle produzioni spaziali, non risolverà il problema di bonifica dell’esistente e di quella futura. Sarebbe molto più efficiente creare un servizio permanente di raccolta, gestione e riciclaggio dei rifiuti spaziali: cosmotrattori che aggancino i frammenti maggiori, cosmospugne che assorbano i proiettili più piccoli; il tutto appoggiato ad una base/discarica in orbita (alta); con capacità di riciclare – fonderia spaziale – i vecchi materiali per usi nelle nuove stazioni in costruzione nonché di riparare satelliti e navi in avaria. Una tecnologia del genere ancora non esiste. Non perché fuori portata, ma per il fatto che tale servizio sarebbe insostenibile se finanziato dai soli denari pubblici delle agenzie spaziali. Quindi il problema ha una soluzione esoeconomica prima che tecnica: generare un mercato privato dei servizi spaziali. L’offerta godrebbe di risorse potenzialmente già disponibili: astronauti operai, navette, moduli e tecnologie per i lavori spaziali, ecc. Per incentivarla, gli attuali proprietari pubblici di tali risorse dovrebbero trasferirle ai privati o in leasing o comunque a costo abbattuto. La domanda, per essere generativa di remunerazione, dovrebbe essere strutturata attraverso una legislazione esoecologica che, rendendo imputabile un contaminatore spaziale, lo costringa a pagare il servizio di bonifica e riparazione. E’ fattibile. Ma nessuno ci pensa e così la Mir, ancora funzionante, invece di essere venduta e riassemblata per diventare un primo nucleo del nuovo esoservizio privato è stata, ieri, distrutta. Metà astronauti russi disoccupati. Spreco cosmico.