Infrastrutture della salvezza. Dei sei miliardi di persone che abitano il pianeta solo uno può accedere pienamente al diritto alla salute (paesi sviluppati). Tre soffrono di servizi medici di qualità inferiore e meno socialmente diffusa (paesi emergenti). Circa due sono sotto la soglia di minima sopravvivenza: sottoalimentati, se nutriti comunque non vaccinati, se malati non curati, prevenzione zero (paesi sommersi). I dati mostrano un’elevata - ovvia - correlazione tra sviluppo ed efficacia sanitaria. Quindi, proiettandolo, tale problema sarà risolto nel momento in cui la crescita economica e la modernizzazione saranno diffusi sul piano mondiale. Ma, pur essendo l’economia globale certamente in grado di arrivare a tale risultato, lo scenario migliore indica che lo raggiungerà non prima del 2025-30. Ciò pone due problemi. Primo, la globalizzazione comunicativa anticiperà di molto quella della parità dei diritti sociali. Ciò significa che il ricco e salvato importerà nella sua sfera emotiva, via media, i problemi di chi non lo è ed il secondo sarà perfettamente informato della disparità con il primo E’ prevedibile una pericolosa delegittimazione per il capitalismo globalizzato. Secondo, il permanere di fonti di contaminazione epidemiologica può compromettere il processo di mondializzazione economica. Già oggi la diffusione dell’Aids non è contenuta e quella di Ebola, in Africa, non è ancora contrastata. Il mutamento climatico sta creando condizioni favorevoli per nuove malattie. In caso di pandemia la reazione probabile sarebbe quella di chiudere le frontiere, gettando in crisi il mercato. In sintesi, bisogna vaccinare e curare il povero prima che arrivi lo sviluppo, proprio per rendere possibile il secondo. Le medicine ci sono. Ma i loro prezzi, basati sullo standard occidentale, sono troppo elevati per utenti poveri. Da anni è crescente una pressione contro le aziende farmaceutiche affinché li abbassino o cedano i brevetti. Che sta arrivando alla demonizzazione, per esempio l’ultimo libro di John Le Carré che svela presunti complotti di “Big Pharma”. In realtà tale strategia colpisce il bersaglio sbagliato: l’incertezza sui brevetti e l’imposizione di un prezzo politico manderebbe in crisi il settore farmaceutico e, quindi, le fonti tecniche della salvezza. Sarebbe più razionale il varo di un programma politico internazionale (G7) che stanzi circa 400 miliardi di dollari in cinque anni - tanto basterebbe e non è cifra impossibile - per creare una rete mondiale di infrastrutture sanitarie dove mancano o sono insufficienti. Tale iniziativa, per effetto scala, ridurrebbe i prezzi della salvazione del povero senza distorsioni di mercato. Ma i governi non accennano a muoversi in questa direzione. Pertanto la pressione demonizzante contro le aziende farmaceutiche, sbagliata che sia, potrebbe essere utile: le costringerà ad usare il loro potere lobbistico per forzare la politica ad assumersi la responsabilità della soluzione. Come dovrebbe.