Il punto debole dell'azione Nato nei Balcani è quello di minacciare l'uso della forza senza essere pronta ad impiegare quella che realmente servirebbe. L'uso della sola arma aerea può certamente produrre danni devastanti al potenziale bellico serbo. Ma é l'impegno di truppe terrestri quello che ha un vero valore politico. E i paesi dell'Alleanza non hanno nessuna intenzione di mandarle a combattere in un teatro dove le perdite umane sarebbero inevitabili. In sintesi, la minaccia contro Milosevic - per costringerlo ad accettare una soluzione pacifica del conflitto in Kosovo- ha un carattere solo "relativo" e non "assoluto". In sintesi, l'azione dissuasiva della Nato é molto debole, anche considerando che la Serbia é già da anni in un regime di economia di guerra - dove qualche bomba non crea grandi problemi- e che il consenso nazionalista si sta rafforzando nella popolazione all'aumentare della minaccia dall'esterno.
Tutti possono cogliere questa debolezza anche valutando il raggio limitato del piano Nato. Probabilmente si tratta solo di "strike" aerei per lo più mirati a distruggere postazioni di comando, controllo e comunicazioni nonché batterie antiaeree, forse qualche concentrazione di rifornimenti. Al momento non c'é l'intenzione di far fuori in poche ore mille carri armati e centinaia di blindati e trasporti - cosa per altro tecnicamente possibile alle forze alleate - con le truppe serbe dentro. E' una tipica azione dissuasiva molto contenuta e con pochissimo spargimento di sangue. Infatti Milosevic se la ride. Coglie l'occasione del ritiro degli ossevatori OSCE per scatenare - senza più testimoni- un'offensiva finalizzata a terrorizzare la popolazione civile affinché abbandoni le proprie case. Appunto, il piano di Belgrado é quello di mandare via l'etnia albanese, mantenere più territorio kosovaro possibile per poi ripopolarlo con serbi importati. E lo sta svolgendo.
La strategia Nato, invece, sarebbe "forte" nel caso i bombardamenti aiutassero gli indipendentisti albanesi (Uck) a contenere l'offensiva serba in atto nel Kosovo e, poi, a riconquistare il territorio. In questa opzione la sola arma aerea sarebbe efficace in quanto la sua azione di distruzione dei carri armati, artiglieria e mezzi logistici serbi troverebbe una forza terrestre indipendentista capace di utilizzarla con risultati strategici concreti, fino al dominio militare dell'intero Kosovo o di buona parte di esso. Così impostata, la strategia Nato farebbe paura a Milosevic in quanto per lui diventerebbe concretissimo il rischio di perdere tutta l'area. Ma Milosevic sa che l'ipotesi della formazione di un Kosovo indipendente e musulmano é cosa che fa ancora più paura agli europei ed agli americani. Ed infatti tutta l'azione diplomatica condotta nei negoziati di Rambouillet era tesa a costringere gli indipendentist a rinunciare proprio all'indipendenza, ripiegando su un modello di autonomia entro lo Stato serbo. Senza la minaccia di un intervento Nato a favore dell'indipendenza del Kosovo, ovviamente, Milosevic non ha particolari preoccupazioni e continua a tenere il coltello dalla parte del manico. Questa é l'origine della debolezza politica del piano occidentale che si combina con la poca forza della dissuasione militare. Fino al paradosso che andando in questo modo contro Milosevic per forzarlo ad un accordo, in realtà, la Nato gli sta facendo il favore di agire come tutore di fatto degli interessi serbi. Un brutto pasticcio, fonte di ulteriori morti e sofferenze per le popolazioni.
Per andare allo sblocco di questa situazione gli occidentali dovrebbero accettare l'idea di un Kosovo indipendente senza troppo preoccuparsi della formazione di uno Stato ad alta densità musulmana o dell'eventualità che ciò inneschi un movimento verso la "Grande Albania" (Kosovo, metà Macedonia e l'Albania attuale). Tale sviluppo sarebbe meno rischioso del continuare a barcamenarsi con soluzioni ambigue.